La più importante fra le ribellioni che sono avvenute in questa fervente estate africana è quella che non si è potuta vedere. Perché le è stato impedito anche solo di manifestarsi, grazie a un rodato sistema di repressione, che può godere del massimo livello di impunità.
Se le immagini di Nairobi inondata di manifestanti kenyani hanno fatto il giro del mondo, così come si sono succeduti, sempre nell’ambito dello stretto spazio di visibilità riservato all’Africa, gli aggiornamenti sulle proteste nigeriane e ugandesi, nessuna notizia è giunta dallo Zimbabwe.
Il silenzio che i media internazionali sono soliti accordare a questo paese dell’Africa australe è proseguito nelle scorse settimane, nonostante il governo stesse portando avanti una chirurgica ondata di arresti e intimidazioni. Una serie di operazioni che, nel giro di circa due mesi, ha portato alla detenzione di decine di attivisti e oppositori politici, anche di primissimo piano.
Ong internazionali e media locali riferiscono di oltre 160 persone, fra le quali l’attuale leader ad interim dell’opposizione Jameson Timba, dirigenti sindacali e di altre formazioni minori critiche del governo. L’obiettivo di questo rinnovato – ma non certo nuovo – zelo repressivo?
Impedire alla società civile locale di dire la sua durante il 44° summit dell’organizzazione regionale di cui lo Zimbabwe fa parte insieme ad altri 15 paesi, la Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (SADC), che si è riunita ad Harare il 17 agosto scorso. E che per l’occasione ha anche eletto il capo di stato Emmerson Mnangagwa, presidente di turno dell’organismo per i prossimi 12 mesi.
A spiegare in modo chiaro l’intento del governo ci ha pensato ex post un portavoce del partito che, sotto varie forme guida il paese da 44 anni, l’Unione Nazionale Africana Zimbabwe – Fronte Patriottico (ZANU-PF).
Una volta terminato il vertice, il dirigente del governo Christopher Mutsvangwa ha affermato candidamente, in riferimento ai detenuti: «Sono sicuro che ci sarà una buona ragione per liberarli ora che non c’è più niente da disturbare. Non c’è motivo di tenerli in prigione a spese dello stato, adesso che hanno fallito. Questo è stato il loro ultimo tentativo di comportarsi nel modo sbagliato. Non avranno mai più un’altra possibilità. Ora sanno cosa succede se agiscono in un certo modo».
Pare che Harare sia stata supportata dalla stessa SADC. Nel comunicato finale del summit non c’è traccia di osservazioni che affrontino anche in modo diplomaticamente accettabile il comportamento del governo padrone di casa. Non mancano invece gli elogi, ad esempio per le “elezioni pacifiche” che si sono disputate nel paese l’anno scorso.
Consultazioni che la stessa missione di osservazione della SADC aveva invece ritenuto non in linea con gli standard internazionali di trasparenza e nemmeno con quanto stabilito dalla Costituzione dello Zimbabwe.
Insomma, in tanti si sono convinti della “pace terrificante” inscenata da Mnangagwa, al punto da trattarla come la vera realtà del paese. Un autoconvincimento più che mai utile a tutti, come osservato da alcuni esponenti della società civile dei paesi della regione che si sono potuti riunire, fra minacce e tensioni, nel tradizionale People Summit che viene organizzato parallelamente a quello istituzionale.
Se ogni singolo paese della SADC ha «problemi particolari», ha denunciato a Harare l’attivista originario di eSwatini Thabo Masuku, tutti «sembrano trovare risonanza nello stile di leadership adottato dai governi regionali». E allora ben venga lo Zimbabwe: più che confrontare travi e pagliuzze, meglio una diffusa, omertosa cecità.
Manifestanti kenyani
Le proteste nelle strade kenyane sono cominciate lo scorso giugno. Manifestazioni molto partecipate soprattutto da parte dei giovani. Inizialmente riguardavano una proposta di legge per introdurre nuove tasse su molti beni primari. Ma in breve tempo alle richieste dei manifestanti si erano aggiunte anche, fra le altre cose, le dimissioni del governo e del presidente William Ruto. Il piano per aumentare le tasse era poi stato ritirato, ma le proteste si erano ormai estese a criticare la corruzione diffusa nel paese. Negli scontri violenti con la polizia sono rimaste uccise decine di persone, oltre a centinaia di arresti.