Si chiama Fulgence Kayishema, ha 62 anni ed è accusato di aver ucciso, il 15 aprile 1994, più di 2mila persone che si erano rifugiate nella chiesa di Nyange in Rwanda. Era in fuga dal 2001.
I procuratori del Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tpir) hanno annunciato che è stato arrestato mercoledì scorso in Sudafrica, nella città di Paarl situata nella provincia del Capo Occidentale. Ora dovrà essere giudicato per genocidio, complicità in genocidio e crimini contro l’umanità.
Il genocidio in Rwanda ha avuto luogo tra aprile e luglio del 1994, è stato compiuto principalmente da milizie di etnia hutu e le vittime – in gran parte di etnia tutsi, ma anche hutu moderati – sono state almeno 500mila.
Gli inquirenti sostengono che Kayishema ha «direttamente partecipato alla pianificazione e all’esecuzione di questo massacro, in particolare si è procurato della benzina, l’ha versata nella chiesa colma di rifugiati e ha appiccato le fiamme». E ancora: «Non avendo conseguito le fiamme l’esito voluto, Kayishema e altri hanno utilizzato un bulldozer per abbattere la chiesa e seppellire così chi vi si trovava all’interno».
Finora il Tpir ha condannato 62 persone e altre si trovano sul banco degli imputati.
Dal 1994, il Rwanda è governato dal Fronte patriottico rwandese e dal suo leader Paul Kagame. Un regime tutsi che continua a utilizzare i “dividendi” del genocidio per impedire qualsiasi opposizione politica. E che fonda la pacificazione del paese sul controllo minuzioso della vita dei cittadini.
Il Rwanda di Kagame è uno stato di polizia che insegue e uccide all’estero gli oppositori, e che contribuisce alla destabilizzazione del nordest della Repubblica democratica del Congo, sostenendo gruppi armati filo-rwandesi e succhiando le risorse minerarie del paese confinante.