Il tribunale civile di Roma ha riconosciuto lo status di rifugiato a Mohamed Dihani, l’attivista sahrawi per i diritti umani perseguitato dal regime marocchino.
La sentenza, depositata il 16 settembre, è importante per diversi aspetti. Respinge il diniego all’asilo pronunciato dalla Commissione territoriale per la protezione internazionale di Roma nel maggio dello scorso anno, con un esame della situazione sia personale che politica nella quale Mohamed Dihani ha per decenni vissuto, fin dalla sua infanzia.
Il tribunale, presso cui aveva testimoniato l’ultima volta in luglio, ha così confermato che il Marocco non è un paese sicuro nel quale Mohamed possa tornare a vivere.
La vicenda peraltro non può dirsi del tutto conclusa poiché l‘avvocatura dello stato ha 30 giorni per presentare ricorso in Cassazione, tuttavia la sentenza getta finalmente luce su tutta la vicenda di Mohamed Dihani.
Denunce credibili
Il primo e decisivo aspetto è che il tribunale riconosce come “interamente credibili” le denunce che l’uomo ha fatto in questi anni circa la persecuzione e la repressione subita durante il suo soggiorno in Marocco.
Le dichiarazioni di Dihani oltre a essere coerenti e suffragate da prove, hanno trovato riscontro – secondo il tribunale – nelle relazioni risultanti da indagini indipendenti condotte da autorevoli organizzazioni internazionali.
Perseguitato a vita
Mohamed è nato nel 1986 a El Aiun, capitale del Sahara Occidentale, oggi territorio parzialmente occupato dal Marocco. Già da bambino, all’età di 9 anni, aveva subito soprusi, un arresto e “attenzioni” da parte della polizia di occupazione.
Per questi motivi viene in Italia presso parenti, fino al 2008, quando rientra per vedere la famiglia. A partire da questo momento Mohamed, che non smette la sua militanza a favore del popolo sahrawi, subisce la repressione poliziesca.
Viene sequestrato, torturato, scompare per sei mesi, poi viene condannato per “terrorismo” e incarcerato. Del suo caso si occupa anche l’ONU, con il Gruppo di lavoro sulle detenzioni arbitrarie, che chiede la revisione del processo. Dopo quattro anni di isolamento viene liberato nel novembre 2015, ma continuamente sorvegliato.
Mohamed cerca di tornare in Italia, ma l’Italia gli rifiuta il visto. Con l’Aiuto di Amnesty International, che da anni si occupa del suo caso, si trasferisce nel 2019 in Tunisia, che tuttavia gli rifiuta il permesso di soggiorno e gli intima di non fare attività contro il Marocco, che ne chiedeva l’estradizione.
Intanto ricorre, con l’assistenza di Amnesty International, al tribunale di Roma per ottenere l’autorizzazione ad entrare in Italia per presentare la domanda d’asilo poiché la Tunisia non è più un paese sicuro per lui.
Per due volte, nel maggio e luglio 2022, il tribunale intima al ministero degli Esteri di concedere il visto che gli consente finalmente nel luglio dello stesso anno di entrare in Italia, di presentare la domanda d’asilo ed essere ascoltato dalla Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale.
Espulsione improponibile
Il secondo aspetto importante è che la sentenza meritevolmente ricostruisce il clima di repressione che circonda qualunque attività per la difesa dei diritti umani e l’autodeterminazione del Sahara Occidentale, citando diversi casi oltre quello di Mohamed Dihani.
Si tratta di “una violazione gravissima dei diritti umani fondamentali” che si può qualificare come atti di persecuzione per i quali è previsto l’asilo da parte della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, ratificata dall’Italia.
Poiché questo contesto è continuato anche dopo l’arrivo di Mohamed in Italia, la sua espulsione verso il Marocco diventa improponibile, pena il rischio di subire violazioni gravissime dei diritti umani fondamentali.
Si rende invece necessario il riconoscimento di uno status di rifugiato ad un attivista come Mohamed e quindi il suo diritto a essere protetto in Italia.
Per il Marocco un “terrorista”
Un altro decisivo aspetto della sentenza è che la richiesta d’asilo è concessa pur in presenza nei confronti di Mohamed di una segnalazione come “terrorista” inserita nel 2010 nella banca dati del SIS (Sistema Informativo Schengen) e che il tribunale decisamente contesta.
Questa segnalazione venne introdotta nel sistema su impulso del Marocco, senza alcuna verifica e riscontro oggettivo. Del resto qualunque militante della causa sahrawi per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale è per definizione “terrorista” secondo Rabat.
La segnalazione era però stata ritenuta sufficiente per negare una prima volta il visto d’ingresso in Italia, ma non nel 2022, quando Mohamed aveva potuto fare rientro in Italia.
Del resto nell’ottobre 2023 il tribunale di Roma l’aveva dichiarata del tutto illegittima, ma la sentenza è stata poi impugnata in Cassazione dall’avvocatura dello stato e non è ancora arrivata a conclusione. La segnalazione intanto lo perseguita in Italia e lo segue in ogni spostamento.
Nella sentenza che concede l’asilo politico viene però nuovamente ribadita la totale mancanza di riscontri oggettivi alle accuse di “pericolosità” nei confronti di Mohamed. Si sottolinea come da parte delle autorità di sicurezza italiana sia mancata, pur su richiesta del tribunale, qualsiasi documentazione che possa attestarne la pericolosità.
Le accuse in sostanza si poggiano unicamente sulla dichiarazione del Marocco che è lo stesso stato che perseguita illegalmente Mohamed Dihani.
Primo rifugiato sahrawi
L’ultimo aspetto importante della sentenza è che lo status di rifugiato è per la prima volta concesso in Italia a un attivista sahrawi.
Quella sahrawi in Italia è una piccola comunità, presente da decenni e ben integrata, e che ha colto con gioia la sentenza. Tuttavia il caso di Mohamed Dihani riflette drammaticamente l’attesa di un popolo sotto occupazione o costretto all’esilio, a cui le Nazioni Unite e la comunità internazionale non hanno voluto dare la giusta soluzione dell’autodeterminazione.
Il Sahara Occidentale rimane così ancora oggi l’ultima colonia in Africa.