Sahara Occidentale: l’Onu spinge per la ripresa dei negoziati col Marocco - Nigrizia
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Fondamentale il ruolo del nuovo mediatore Staffan de Mistura
Sahara Occidentale: l’Onu spinge per la ripresa dei negoziati col Marocco
Uno stallo in corso da trent’anni, degenerato un anno fa con la ripresa del conflitto tra Rabat e Fronte Polisario. Il segretario generale dell’Onu, attraverso il suo inviato, ripropone la formula del compromesso politico. L'obiettivo resta l'autodeterminazione del popolo saharawi. Che intanto, nei campi in Algeria, sta soffrendo una pesante crisi alimentare e sanitaria
27 Ottobre 2021
Articolo di Luciano Ardesi
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saharawi

Tutto rinviato a venerdì 29 ottobre. Gli Stati Uniti non sono riusciti a far approvare all’Onu, mercoledì 27 ottobre, la bozza di risoluzione che proroga di un anno il mandato della missione dell’Onu nel Sahara occidentale, la Minurso. A mettere i bastoni tra le ruote la Russia che appoggia le posizioni dell’Algeria. I tempi, tuttavia, stringono. Perché il mandato della Minurso scade domenica 31 ottobre. Di fronte agli Stati Uniti, non c’è stata solo l’opposizione della Russia. L’ambasciatore alle Nazioni Unite del Kenya, Martin Kimani, presidente in carica del Consiglio di sicurezza, ha ribadito: «Vogliamo che l’autodeterminazione sia chiaramente indicata nella risoluzione».

In 30 anni la Minurso non è riuscita a compiere il proprio mandato (realizzare il referendum) né a salvaguardare il cessate il fuoco tra Marocco e Fronte Polisario, che durava dal settembre 1991, e che Rabat ha violato il 13 novembre 2020 dando il via alla ripresa della guerra nel Sahara Occidentale. 

L’aspetto decisivo è la formula con la quale il Consiglio inviterà le due parti a riprendere i negoziati. L’accordo tra Marocco e il Polisario per un referendum di autodeterminazione, raggiunto con la mediazione dell’Onu nel lontano 1988, e che doveva porre fine alla guerra iniziata nel 1975 con l’invasione da parte dell’esercito di Rabat dell’ex-colonia spagnola, è rimasto finora lettera morta. 

Da una ventina d’anni, da quando è terminato il censimento degli aventi diritto al voto, il Marocco ha messo il veto sulla lista degli elettori, la parola “referendum” è sparita dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, e sostituita dal concetto di “soluzione politica” accettabile per entrambi le parti, poi rafforzata dall’attributo di “realistica e pragmatica”.

Questo slittamento semantico tradisce i rapporti di forza all’interno del Consiglio di sicurezza dove la Francia si è sempre opposta ad una iniziativa che contraddicesse le pretese del Marocco di vedere riconosciuta l’occupazione di fatto, anche se solo parziale, del Sahara Occidentale.

Il segretario generale dell’Onu António Guterres, nel suo rapporto presentato all’inizio di ottobre al Consiglio di sicurezza, esprime preoccupazione per la ripresa della guerra e raccomanda il rinnovo della Minurso per un altro anno, malgrado questa sia stata nell’impossibilità di pattugliare il territorio, proprio a causa della guerra.

L’aspetto più significativo è che Guterres ripropone la formula del compromesso politico: “una soluzione politica giusta, duratura e reciprocamente accettabile che consenta l’autodeterminazione del popolo del Sahara Occidentale” (§ 85). Come gli ultimi vent’anni dimostrano, diventa difficile, per non dire impossibile, immaginare un’autentica autodeterminazione senza un referendum.

Per attirare l’attenzione su questo vicolo cieco e su quella parte dei sahrawi che da 45 anni vivono nei campi profughi attorno a Tindouf, nel Sahara algerino, il Polisario ha tentato di rompere l’isolamento, non solo pandemico ma anche mediatico, di cui soffre la resistenza sahrawi.

A partire anche dai festeggiamenti del 12 ottobre – che per i sahrawi è la giornata dell’Unità nazionale creata attorno al Polisario per resistere all’invasione marocchina nel 1975, e che quest’anno ha visto partecipare anche delegazioni e giornalisti stranieri dopo l’interruzione dovuta al Covid-19 -, i leader del Polisario rilanciano i termini dell’accordo a suo tempo raggiunto col Marocco che prevede il referendum di autodeterminazione. 

Il problema è che il referendum non è più accettato dal Marocco, dopo che non è riuscito a manipolare la lista degli elettori redatta dall’Onu, e il Consiglio di sicurezza lo ignora. Sarà però nei limiti prefissati dal Consiglio stesso che dovrà muoversi il nuovo inviato speciale, l’italo-svedese Staffan de Mistura, nominato da Guterres dopo oltre due anni di vacanza di quel fondamentale ruolo di mediatore tra Marocco e Polisario.

Emergenza sanitaria nei campi in Algeria

Intanto, mentre i sahrawi dei territori occupati devono far fronte all’implacabile repressione e alla totale censura da parte del Marocco, i rifugiati sahrawi in Algeria vivono in condizioni difficili. La pandemia ha colpito anche loro. Dal 10 aprile è iniziata la campagna vaccinale contro il Covid-19, e dal 13 luglio quella per la seconda dose. La priorità è stata data al personale sanitario, ai malati cronici, ai dirigenti e agli anziani.

Lo stesso presidente sahrawi, Brahim Ghali, questa primavera fu colpito dal Covid-19 e poi ricoverato in Spagna, con la conseguente rappresaglia marocchina che ha messo in crisi i rapporti tra Rabat e Madrid. 

I vaccini utilizzati sono stati Astra Zeneca, Sinovac e Sinopharm, ma come altrove la campagna vaccinale si è scontrata con la scarsa disponibilità di vaccini. L’Algeria, che ha iniziato a produrre quelli russi e cinesi, ha provveduto a fornire i vaccini, mentre le promesse della Spagna non sono state mantenute. L’obiettivo è quello di riuscire a raggiungere il 70% della popolazione adulta.

La situazione alimentare è particolarmente allarmante. Da anni ormai le agenzie internazionali, il Programma alimentare mondiale (Pam) e l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) hanno fortemente diminuito le razioni. Proprio in questi giorni è in corso una missione congiunta con i paesi donatori per valutare i bisogni. L’Italia, attraverso l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) ha appena stanziato mezzo milione di euro al Pam per l’assistenza umanitaria ai rifugiati sahrawi. 

La pandemia ha impedito la mobilità tradizionale, soprattutto con la Spagna, dove molti sahrawi lavorano e alimentano le rimesse che consentono alle famiglie nei campi profughi di procurarsi le risorse per far fronte alle carenze alimentari e materiali, risorse che quindi sono mancate in questo periodo.

Per di più la siccità e il caldo, particolarmente forte quest’estate, hanno messo duramente alla prova non solo la popolazione ma anche il bestiame. Dai territori liberati, tradizionale terreno di pascolo, molti sahrawi hanno fatto rientro nei campi profughi in Algeria per sopravvivere, contribuendo a pesare sulle scorte alimentari disponibili.

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