Nel 2023 le esportazioni di prodotti petroliferi russi verso i paesi africani sono state pari a 17,6 milioni di tonnellate, con un aumento del 250% rispetto al 2022. Nello stesso periodo, le collaborazioni in campo energetico sono passate da 30 a 40, con le attenzioni rivolte in particolare a 14 paesi del continente.
Molti di questi progetti vedono impegnata in prima linea la compagnia di stato nucleare russa Rosatom, e non riguardano solo lo sfruttamento di petrolio ma anche quello di gas per la produzione di elettricità, le fonti rinnovabili (soprattutto solare ed eolico), le estrazioni minerarie e i trasporti.
Il trend è stato dettagliato a fine luglio scorso all’agenzia di stampa russa Interfax, dal direttore del dipartimento della cooperazione internazionale del ministero dell’Energia di Mosca, Dmitry Semenov.
Nonostante oltre due anni di sanzioni internazionali, la Russia non sembra dunque avere problemi a piazzare il suo petrolio al di fuori dell’Europa. E lo sta facendo soprattutto in Asia e per l’appunto in Africa, continente che però sulla carta non avrebbe alcun bisogno di importare la materia prima. Lo dicono i numeri.
Nel 2023, come segnalato da Statista, la produzione di petrolio in Africa ha raggiunto 7,2 milioni di barili al giorno. Un quantitativo che resta lontano dal picco del 2008 (circa 10,3 milioni di barili) ma comunque in aumento, seppur di poco, rispetto al 2022 (7,1 milioni).
Lo scorso anno solo i paesi del Nordafrica e quelli dell’Africa occidentale hanno coperto quasi l’8% delle esportazioni globali. Il principale produttore, nonché esportatore, è la Nigeria, seguita da Algeria, Libia e Angola.
Quello che raffina di più, invece, è l’Egitto. Ed è qui che l’Africa arranca a causa della capacità mediamente scarsa dei suoi paesi di lavorare internamente le enormi quantità di greggio estratte nel continente e trasformarle in prodotti finiti.
La Russia è tra i paesi che sfruttano di più a proprio favore questa debolezza strutturale. Con le nuove sanzioni imposte nel 2022 dall’Occidente in risposta all’invasione dell’Ucraina, Mosca si è da subito adoperata per aggirare i divieti e ricavarsi dei canali alternativi attraverso cui far confluire i suoi prodotti petroliferi verso l’Africa occidentale.
Lungo questa rotta la pedina mossa dal Cremlino è la società di trading Demex con sede al Dubai Multi Commodities Centre, borsa merci e zona di libero scambio negli Emirati Arabi Uniti.
La società è guidata da Mikhail Mezhentsev, ex dirigente di Transneft Product, operatore di oleodotti e filiale della compagnia di stato russa Transneft. Mezhentsev ha conoscenze importanti a Mosca, come evidenziato da Africa Intelligence. Tra i rapporti più importanti che può vantare ci sono quelli con l’oligarca russo Igor Sechin, amministratore delegato del colosso energetico Rosneft.
Per far arrivare il petrolio russo in Africa occidentale Demex si serve di una flotta ombra formata da vecchie petroliere che battono bandiera di Palau, Singapore e Panama, e che lungo il tragitto attraccano in diversi porti per non destare sospetti sul carico che trasportano.
La destinazione più battuta è il Senegal che tra gennaio e luglio di quest’anno ha ricevuto quasi 4 milioni di barili di petrolio russo, pari a un terzo di quanto ne viene consumato nel paese.
In questi traffici la sponda senegalese di Demex è Elton Oil, società che in Senegal gestisce un’ampia rete di stazioni di servizio e che rivende il prodotto a due compagnie di stato, SAR (Société africaine de raffinage) e Petrosen. Sempre Elton Oil collabora con Demex per fare arrivare il petrolio russo anche in Mali.
Tra gli altri paesi dell’Africa occidentale raggiunti dalle petroliere di Demex ci sono la Costa d’Avorio, il Benin e il Gambia dove, sempre secondo Africa Intelligence, da inizio 2023 sono arrivati centinaia di migliaia di barili di diesel. Anche dal Gambia vengono smistati carichi verso il Mali.
Il vantaggio di questa rotta sommersa per Mosca è doppio. Riesce a vendere il petrolio che non può più distribuire in Europa. Ed evita di effettuare transazioni con il franco CFA, ricevendo pagamenti in criptovalute o, come nel caso del Mali, in oro.