Oggi, 5 ottobre, è la Giornata mondiale degli insegnanti, voluta dall’Unesco e istituita nel 1994.
Il tema di quest’anno è “insegnare in libertà”, con l’obiettivo di rendere chiunque faccia questo mestiere “in grado di lavorare in totale sicurezza durante i momenti di cambiamento politico, instabilità e conflitti”, come scrive la direttrice generale dell’Unesco Irina Bokova, sottolineando anche l’importanza di accesso a “salari equi e opportunità continue per lo sviluppo professionale”.
Un auspicio che suona ancora, purtroppo, come molto distante dalla realtà.
In Africa, il 60% della popolazione ha meno di 25 anni: un dato che fa riflettere sulla capitale importanza del ruolo degli insegnanti nel continente. Eppure, la questione dei salari e delle opportunità lavorative continua a causare malcontento e proteste, a discapito degli studenti.
Spicca il caso della Nigeria, dove i docenti universitari dal 1999 hanno preso parte a 16 scioperi prolungati (quello del 2013 durò ben sei mesi, mentre nel 2020 si raggiunsero addirittura i nove mesi). Delle 95 università del paese soltanto 11 non sono coinvolte nello sciopero iniziato il 14 febbraio 2021 e ancora in corso. Con il conseguente, inevitabile prolungamento del percorso di studi per i giovani, uno strascico che non tutti possono permettersi economicamente.
Ad inasprire ulteriormente il clima sono state anche le recenti dichiarazioni del presidente uscente Muhammadu Buhari, che ha sollevato il caso delle molestie sessuali in ambito accademico. Un problema che considera di “proporzioni allarmanti”, alimentato da una sempre più diffusa corruzione che copre i docenti che richiedono favori sessuali in cambio di voti.
Il 3 ottobre sono iniziati gli scioperi “a tempo indeterminato” anche in Camerun, con l’obiettivo di ottenere migliori condizioni sul posto di lavoro. Una problematica trasversale che tocca tutto il continente. In Uganda, gli insegnanti denunciano stipendi di appena 120-150 dollari al mese.
Per quel che riguarda invece le zone di instabilità e conflitti, va ricordato che circa un mese fa, un report del Fondo globale dell’Onu ha denunciato che solo nel Sahel ci sono circa 12.400 scuole chiuse per il persistente clima di insicurezza.
Tuttavia, nell’ultimo decennio il continente ha ottenuto miglioramenti significativi sul fronte dell’istruzione. Il rapporto Unicef del 2021 dimostra che la percentuale di bambini che non vanno a scuola è scesa dal 35% del 2000 al 17% del 2019.
Molti paesi, come la Namibia, il Kenya, il Botswana, l’Algeria hanno investito tanto non solo per incrementare l’accesso all’istruzione, ma anche per favorire e migliorare le condizioni degli insegnanti. In questo senso, il primato va alle Seicelle, che, stando ai dati forniti dalla Banca mondiale, ha raggiunto nel 2018 un tasso del 99% di scolarizzazione.