Il presidente della Francia Emmanuel Macron non sarà in Rwanda per le commemorazioni del 30esimo anniversario del genocidio del 1994, ma il suo intervento sulla tragedia è comunque destinato a provocare reazioni. Stando a fonti dell’Eliseo rilanciate dai maggiori media transalpini, domenica 7 aprile il capo di stato ammetterà che Parigi «avrebbe potuto fermare il genocidio con i suoi alleati occidentali e africani» ma «non ne ha avuto la volontà».
Una dichiarazione questa, che rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti in direzione del riconoscimento delle responsabilità di Parigi nel genocidio, ammesse formalmente in più occasioni negli ultimi anni. Parigi, all’epoca dei fatti alleata del governo che avrebbe poi ordinato e condotto il genocidio, non ha mai riconosciuto una propria esplicita complicità nei massacri, e di conseguenza non ha mai chiesto scusa formalmente al popolo rwandese.
Gli eventi a cui fa riferimento Macron sono avvenuti principalmente fra aprile e luglio del 1994, quando estremisti della comunità hutu avviarono una campagna di sistematica uccisione dei cittadini tutsi e di quegli hutu che li proteggevano e che si opponevano ai massacri. Le violenze portarono alla morte di 500mila persone secondo le stime più conservative a oltre a un milione di vittime stando ad altre fonti.
I massacri avvennero a seguito di anni di attacchi contro la popolazione tutsi e nel contesto di un conflitto fra il governo di base a Kigali e il Fronte patriottico rwandese (Fpr), una milizia fondata in Uganda da cittadini rwandesi in esilio perlopiù tutsi. Il casus belli della fase più acuta degli eccidi fu l’abbattimento dell’aereo su cui viaggiavano l’allora presidente rwandese Juvénal Habyarimana e l’omologo del Burundi, Cyprien Ntaryamira, avvenuto il 6 aprile 1994 e attribuito all’Fpr dall’allora governo rwandese.
Il Fronte mise fine al genocidio entrando al Kigali nel luglio 1994, a seguito di un’offensiva che pure fu segnata da violenze che secondo parte dalla società rwandese dovrebbero essere valutate come possibile genocidio. L’uomo che guidava le truppe dell’Fpr, Paul Kagame, è l’attuale presidente del Rwanda e mantiene questo incarico dal 2000. Venne fatto vicepresidente e ministro della difesa immediatamente dopo l’ingresso a Kigali infatti, per diventare capo di stato sei anni più tardi.
Cosa dirà Macron
Stando a quanto riferito ai media di Parigi dall’ufficio della presidenza, domenica Macron «ricorderà in particolare che, quando iniziò la fase di sterminio totale dei tutsi, la comunità internazionale disponeva dei mezzi per capire e poteve agire, attraverso la conoscenza dei genocidi degli armeni e della Shoah rivelatici dai sopravvissuti, e che la Francia, che avrebbe potuto fermare il genocidio insieme ai suoi alleati occidentali e africani, non ne ha avuto la volontà».
Le parole del presidente francese, che come detto non sono ancora state pronunciate ufficialmente, si collocano in un contesto segnato da dinamiche contrastanti: la decisione di Macron di non recarsi a Kigali in occasione delle celebrazioni è stata recepita con stupore – a Kigali voleranno il ministro degli Affari esteri, Stéphane Séjourné, e il segretario di Stato per il Mare, Hervé Berville, nato in Rwanda – anche perché il presidente ha avviato da anni un processo di riavvicinamento al Rwanda e di ridefinizione delle responsabilità francesi nel genocidio che ha portato ad alcuni frutti. In una recente intervista al quotidiano Le Figaro, Kagame ha detto che le relazioni fra i due paesi sono migliorate ma che restano «aspetti da correggere».
Il tema del ruolo transalpino nel genocidio è estremamente spinoso e complesso e ha portato anche alla rottura dei rapporti diplomatici fra i due paesi fra il 2006 e il 2009. Già nel 2010 l’allora capo di stato Nicholas Sarkozy si era recato a Kigali, primo leader francese a visitare il paese dopo 25 anni. Nella capitale il presidente aveva riconosciuto che la Francia aveva commesso degli errori insieme ad altri attori della comunità internazionale, aggiungendo che Parigi era stata colpita in quell’occasione da una «sorta di cecità».
I due report sul genocidio
Macron ha però intrapreso passi più significativi. Nel 2019 l’Eliseo ha commissionato allo storico francese Vincent Duclert la stesura di un report sul ruolo della Francia nel genocidio. Il testo è stato consegnato due anni più tardi. Nelle circa 1000 pagine del documento si toccano tutti i nodi critici della presenza francese in Rwanda, fra i quali il lungo sostegno al governo genocidario e gli effetti dell’operazione Turquoise, lanciata dalla Francia a giugno su mandato internazionale e a lungo accusata di aver facilitato la fuga dal paese dei responsabili dei massacri.
Il testo giunge alla conclusione che la Francia non può essere considerata complice del genocidio. Al contempo stabilisce però che l’esecutivo guidato dall’allora presidente Francoise Mitterand ha a lungo sostenuto le autorità di Kigali che avrebbero commesso gli eccidi, dimostrandosi «cieca» davanti alla preparazione dello sterminio e avendo quindi «pesanti e schiaccianti responsabilità» in quanto avvenuto.
Poche settimane dopo la pubblicazione del cosiddetto report Duclert, che è stato anche consegnato a Kagame, il governo del Rwanda ha presentato un documento sullo stesso tema che era stato commissionato nel 2017 a uno studio legale statunitense. Il testo confuta la versione secondo cui la Francia non sarebbe stata consapevole della preparazione di un genocidio da parte di un governo suo alleato, e indica invece che Parigi «non era né cieca né inconsapevole riguardo al prevedibile genocidio».
La pubblicazione dei due rapporti è stata comunque vista come il segno di un’apertura e di un riavvicinamento forte fra Kigali e Parigi. Macron si è poi recato nella capitale rwandese nel maggio 2021. In quell’occasione il leader francese si è anche impegnato a garantire che «nessuna delle persone accusate di genocidio possa sfuggire alla giustizia».
Processi ai danni di persone accusate di responsabilità negli eccidi sono in corso in vari paesi del mondo, dove sono stati avviati sulla base del principio di giurisdizione universale. In Francia a oggi, come ricostruito in settimana dall’ong Human Rights Watch (HRW), quattro cittadini rwandesi sono stati condannati per vari reati connessi alla partecipazione diretta o all’incitamento agli omicidi di massa, fra i quali il prefetto della provincia dell’allora provincia di Gikongoro all’epoca dei fatti, Laurent Bucyibaruta, deceduto nel dicembre 2023, mentre altri quattro sono a processo e uno è ancora oggetto di indagine.
La reazione della società civile rwandese
Le parole annunciate oggi da Macron sono state accolte positivamente dalla sezione francese di Ibuka, la più importante organizzazione di sopravvissuti al genocidio. «Sono molto felice che il presidente Macron sia fedele al processo che ha avviato dal 2019», ha commentato il presidente Marcel Kabanda. «È rassicurante per noi arrivare alla 30esima commemorazione del genocidio con questa dichiarazione».
Più cauto Alain Gauthier, del Collettivo delle Parti Civili per il Ruanda, noto per aver dato la caccia a molti dei responsabili del genocidio latitanti insieme alla moglie Dafroza Gauthier. «È un piccolo passo avanti, ma per i sopravvissuti, per le vittime, non serve a molto», ha detto il dirigente, che ha poi esortato Macron a «non avere paura di usare la parola complicità».