Si è appena chiusa a Dakar la quarta edizione degli Ateliers de la Pensée, organizzati per la prima volta nel 2016 dal camerunese Achille Mbembe e dal senegalese Felwine Sarr, con l’intento di creare uno spazio di riflessione non solo sul continente africano ma anche a partire dal continente, inteso come luogo capace produrre pensiero, un pensiero utile non solo localmente ma anche a livello planetario.
Gli incontri si svolgono secondo una formula ormai consolidata: un insieme di tavole rotonde in cui ogni oratore presenta la sua riflessione lasciando successivamente spazio ad un ampio dibattito con il pubblico. Questa formula, poco ingessata e lontana dal modello dei convegni accademici, rende invece possibile la partecipazione del pubblico che risponde, integra, approfondisce gli argomenti trattati.
Questi Ateliers provano cioè a mettere in piedi una forma che renda possibile una modalità di “pensare assieme”, che predilige la dimensione dello scambio tra chi partecipa. Determinati temi, che si rivelano via via come gli assi centrali della riflessione di ogni edizione, vengono ripresi nel corso delle sessioni, rideclinati, articolati, visti da vari punti di vista. Un formato di questo tipo predilige, gioco forza, la pluridisciplinarità ma anche la diversità degli approcci.
Vengono quindi sempre offerti contributi più teorici a cui si aggiungono testimonianze delle esperienze di chi sta maggiormente sul terreno (in questa edizione è stato il caso di Fadel Barro, leader del movimento Y’en a Marre in Senegal o Odile Sankara in Burkina Faso) o ancora riflessioni di chi predilige un approccio che ricorre alle arti che spesso media tra le due posizioni.
Esistono nomi di riferimento che fanno da filo rosso a questa kermesse biennale, tra i tanti spicca il pensiero di Éduard Glissant, di Franz Fanon, di Aimé Césaire, fatto che sottolinea l’importanza e la forza del pensiero anticoloniale nella costruzione di un nuovo sguardo sull’Africa.
Il contributo delle arti
Esiste ormai un nucleo duro di partecipanti che accompagnano Mbembe e Sarr nella loro missione. Il filosofo senegalese Souleymane Bachir Diagne, l’antropologo Parfait D. Agana, la filosofa franco-congolese Nadia Yala Kisukidi, la politologa di origine rwandese Olivia Rutazibwa sono solo alcuni dei nomi che ne fanno parte.
Seguendo quindi le tracce della solida riflessione proposta da Mbembe sulla condizione postcoloniale nel corso degli anni e quella sul futuro dell’Africa tracciata dall’economista e scrittore Felwine Sarr nel suo Afrotopia, il tema scelto per questa quarta edizione è stato “Cosmologies du lien e formes de vie” (Cosmologie del legame e forme di vita), tema che è stato declinato per quattro giorni, in un totale di quattrodici tavole rotonde.
Questa edizione si è specialmente aperta al contributo delle arti: una delle tavole rotonde è stata animata da David Diop (International Booker Prize 2021), dal premio Goncourt 2022 Mohamed Mbougar Sarr, assieme allo scrittore franco-congolese Wilfred N’Sonde, ci sono state varie performance artistiche e nell’ultima serata una tavola rotonda che ha visto riuniti i musicisti Baaba Maal, Ray Lema e Wasis Diop accanto alla pioniera della danza africana contemporanea Germaine Acogny.
Da segnalare il significativo contributo della diaspora intellettuale in Francia, soprattutto femminile, con figure come Maboula Soumahoro e Mame Fatou Niang che uniscono alla loro riflessione decoloniale la prospettiva femminista.
Il tema della vulnerabilità collettiva emersa nella sua violenza dopo l’esperienza della pandemia e la crisi del modello economico promosso da un’economia che è diventata insostenibile per chi abita il pianeta nel Sud, ma anche sempre più nel Nord del mondo, è stato l’asse portante di queste quattro giornate, ricostruendo come questione coloniale e questione ecologica siano intrinsecamente collegate, viste che entrambe si sono rette e si reggono su un principio estrattivista delle risorse.
Il legame, la rete delle relazioni che con la forza dell’ascolto dell’altro e con il suo potenziale di condivisione si contrappone, quindi, come antidoto all’iniquità dell’attuale stato delle cose.