Senegal: i pescatori di Saint-Louis contro il colosso BP - Nigrizia
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Il progetto offshore per l’estrazione di gas naturale soffoca la pesca tradizionale di sussistenza
Senegal: i pescatori di Saint-Louis contro il colosso BP
12 Dicembre 2024
Articolo di Redazione
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Pescatore del Casamance (Credit: Eduard Garcia/Flickr/CC BY-NC-ND 2.0)

I pescatori della città di Saint-Louis, nel nord del Senegal, contro il colosso petrolifero BP e il progetto Grande Tortue Ahmeyin (GTA).

La piattaforma per l’estrazione di gas naturale (GNL) della BP “ha rubato il futuro dei giovani e aumentato l’immigrazione clandestina”, ha denunciato il presidente dell’associazione locale dei pescatori tradizionali El Hadj Dousse, sentito dall’Agenzia Anadolu.

Gli abitanti della costa che praticano la pesca tradizionale sostengono di non poter più pescare dopo l’installazione della piattaforma della BP sulla più grande barriera corallina naturale della regione, una delle più imponenti dell’Africa occidentale, conosciuta come Diattara.

“Qui ci sono 1.117 barche impegnate nella pesca tradizionale. Diattara, era il luogo in cui pescavamo di più e oggi ci è vietato avvicinarci”, ha spiegato Dousse, raccontando che nonostante il gas naturale sia stato scoperto a 125 chilometri dalla costa, la BP ha installato la piattaforma necessaria per l’assistenza tecnica a 10 chilometri dalla costa.

“È vietato avvicinarsi per più di 1,2 chilometri dalla piattaforma, altrimenti le guardie attaccano i pescatori e danneggiano le loro barche”, ha aggiunto.

Il presidente dell’associazione sostiene che, come alternativa, la BP avesse promesso di realizzare sei barriere coralline artificiali, in modo da consentire alla fauna ittica di riprodursi e ai pescatori di continuare a praticare la loro attività di vitale sussistenza. Attività peraltro già pesantemente minacciata, in Senegal come in gran parte degli altri paesi africani sul mare, dalla pesca illegale e industriale.

L’11 ottobre, però, racconta ancora Dousse, la BP ha annunciato che avrebbe potuto costruire solo una scogliera artificiale. “Non possono venire in un paese che ha vissuto di pesca per secoli, impossessarsi delle sue zone di pesca più preziose e fare orecchie da mercante alle sue lamentele. Non lo accettiamo”.

Sulla questione è intervenuto anche il segretario generale del consiglio degli imam, Omar Sarr, per il quale l’obiettivo è risolvere pacificamente il contenzioso. “Se la BP vuole utilizzare il nostro gas naturale – ha dichiarato -, deve rispettare le nostre richieste”.

Anadolu ha interpellato anche la società petrolifera britannica che ha risposto negando di aver promesso di realizzare sei barriere artificiali. La costruzione di un’unica barriera, spiega BP, renderà più facile gestirla e proteggerla, mentre “non sarebbe possibile gestire diverse barriere coralline situate distanti tra loro”.

Il progetto Grande Tortue Ahmeyim

Il progetto per la produzione di GNL è gestito dalla BP (con una quota del 61%), in collaborazione con la texana Kosmos Energy (29%), la compagnia petrolifera nazionale senegalese PETROSEN e quella mauritana, Société Mauritanienne Des Hydrocarbures (SMH), che detengono insieme il restante 10%.

Il giacimento scoperto a 2.850 metri di profondità lungo il confine marittimo tra Senegal e Mauritania nel 2015, ha riserve stimate in 15 miliardi di metri cubi e si prevede produrrà 2,3 milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto all’anno per 20 anni.

I lavori sono iniziati nel 2019 e la produzione di gas è prevista per la fine di quest’anno.

Ma il GTA è solo una parte dei circa 13.500 km2 di superficie detenuta da BP e partner in Mauritania e Senegal, che si ritiene contenga complessivamente tra 50 e 100 miliardi di metri cubi di gas.

Nella descrizione del progetto sul suo sito, si legge che “BP si impegna ad aiutare entrambi i paesi a sviluppare le loro risorse di livello mondiale in modo sostenibile” e che “si prevede che (il progetto) avrà un impatto positivo e duraturo sulle generazioni future”.

Green washing imperante

Di sostenibile però nei progetti estrattivi di BP così come in quelli di tutte gli altri colossi petroliferi internazionali (Shell, ExxonMobile, ENI, TotalEnergies) c’è ben poco.

Nonostante negli ultimi anni si siano fatte paladine della transizione energetica verde, le major che dominano il mercato petrolifero stanno in realtà spingendo più che mai su progetti estrattivi altamente inquinanti, mettendo al centro delle loro priorità il reddito.

La logica di massimizzazione dei profitti, dettata dalle aspettative degli investitori, ha portato BP a una radicale marcia indietro rispetto agli impegni presi a partire dal 2020 per ridurre le emissioni di gas serra e sviluppare le energie rinnovabili.

La svolta è dettata dal nuovo CEO Murray Auchincloss che ha deciso di concentrare gli sforzi della BP su progetti ad alta redditività immediata, tagliando gli investimenti nel segmento dell’energia pulita fino alla fine del decennio. Una strategia evidentemente premiata dal mercato che ha visto le azioni BP schizzare al 3,5% dopo l’annuncio.  

Il primo atto concreto è stato il taglio di 6,75 miliardi di dollari di investimenti nelle energie rinnovabili, passati da 10 a 3,25 miliardi entro il 2030, per il progetto eolico offshore JERA Nex BP, nato dalla partnership tra la società britannica e la giapponese JERA.

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