È uno dei punti più critici e discussi dell’economia in Senegal. La pesca illegale di natura industriale è una piaga per i pescatori locali che ormai da anni lamentano una cronica scarsità di pescato a disposizione nelle acque nazionali. Non un problema da poco per un un paese con 700 km di costa e un’economia spesso di sussistenza legata alla fauna ittica. Varie ong locali l’avevano messa al centro delle discussioni durante la campagna elettorale per le elezioni presidenziali di marzo.
Lunedì 6 maggio, il governo Faye ha mantenuto la promessa fatta allora di pubblicare la lista delle barche autorizzata ad andare in mare dal precedente governo. La loro licenza è valida su base annuale e termina il 31 dicembre. Ma più che la durata, interessa qui la nazionalità: 132 degli operatori registrati sono senegalesi: i rimanenti 19 sono stranieri.
Cifre che fanno sorgere più di un dubbio a molti addetti ai lavori, come Mor Mbenque, rappresentante del consiglio locale della pesca artigianale di Kayar. Interpellato dall’emittente francese RFI, ha dichiarato «ogni volta che andiamo in mare, vediamo dei cinesi sulle barche. Il Senegal e la Cina non hanno accordi di pesca. Il che ci ha fatto sospettare da sempre che ci siano dei prestanome sulle barche».
Dopo questo primo passo, varie organizzazioni, tra cui Greenpeace Africa, richiedono di passare ad una fase di sorveglianza dell’attività di pesca, per contrastare la parte illegale.