L’arido cuore della stampa internazionale raramente batte per delle elezioni legislative in Senegal. Ma quelle di domenica 17 novembre suscitano una certa attenzione.
Merito della iper-personalizzazione della competizione tra i due leader maximo del paese: l’attuale Primo ministro Ousmane Sonko e l’ex Presidente della repubblica Macky Sall. I media etichettano il voto di domani secondo formule più o meno colorite: partita di ritorno, occasione di rivincita, secondo round alla Mortal Kombat. Di certo, è la nuova arena per un confronto che ha dettato il ritmo dell’epopea politica senegalese degli ultimi anni.
Andando al di là della accattivante quanto semplicistica narrativa legata ai soli personaggi, diamo uno sguardo a cosa c’è dietro di loro e al contesto in cui si muovono.
Pastef contro tutti
Si affrontano al voto due schieramenti principali. Il primo è quello di Sonko, alla guida di Pastef (per esteso e in italiano, i Patrioti africani del Senegal per il lavoro, l’etica e la fraternità), il partito anti-establishment che si presenta da solo alle elezioni, con il supporto di varie liste. La sua vittoria è data per scontata; resta da vedere con quale margine avverrà.
Tanta facilità di pronostico viene dal mettere insieme un paio di elementi degli ultimi mesi. Alle elezioni presidenziali del marzo scorso, Pastef si era imposto al primo turno con il 57% dei voti. Ne era emerso Presidente della repubblica Bassirou Diomaye Faye, numero due del partito. Sonko, fondatore e leader indiscusso di Pastef, non si era potuto candidare a causa di condanne giudiziarie arrivate a ridosso del voto e che lo avevano escluso dalla corsa elettorale. Si è dovuto accontentare della nomina post-elezioni a Primo Ministro, la seconda carica per importanza in Senegal.
Difficile pensare che solo otto mesi dopo una vittoria così netta, Pastef non ottenga neanche la maggioranza relativa.
Il ricorso anticipato alle urne
Del resto, è bene ricordare che il termine del mandato di cinque anni dell’attuale Assemblea Nazionale (equivalente al Parlamento in Italia) era il 2027. È stato Pastef a chiamare a nuove elezioni anticipate, per porre fine alla cosiddetta coabitazione; un termine politologico che definisce un regime in cui il potere esecutivo e quello legislativo, rispettivamente il governo e l’Assemblea nazionale, appartengono a forze politiche differenti.
Ragion per cui, Pastef ha fissato il voto alle urne alla prima data legalmente possibilw. Il fine è conquistare la maggioranza per far passare le proprie leggi e il suo Plan 2050 (Piano 2050, in italiano).
Plan 2050
Lanciato un mese fa, è l’ambizioso programma di governo per lo sviluppo del paese da qui a metà secolo corrente. Tra i vari obiettivi: l’incremento del reddito per abitante del 50% in cinque anni; e il miglioramento della qualità della vita in Senegal, al punto da aumentare l’aspettativa di vita ai suoi cittadini di 3 anni. Di fatto, c’è la previsione di potenziare di molto lo stato sociale. I fondi per finanziarlo dovrebbero venire dagli introiti dell’estrazione di petrolio e gas, di cui il paese è divenuto un produttore a partire da quest’anno.
Per ora, ottimi propositi. Da vedere se cadranno vittima della ‘’maledizione delle risorse’’ come accade fin troppo spesso nel continente africano.
L’opposizione batte un colpo
Passando al secondo schieramento e avversario principale di Pastef, troviamo la neonata coalizione Takku Wall Senegal. A guidarla c’è Macky Sall. Ne fanno parte tre partiti di area liberale: l’Alliance pour la République (Apr, il partito di Sall), Rewmi e il Parti démocratique sénégalais (Pds).
Takku Wall nasce da una riconfigurazione della coalizione che aveva sorretto il governo Sall nei suoi dodici anni al potere (2010-2024), la Benno Bokk Yaakaar (BBY).
Altre due coalizioni si contendono quel che resta: la Sàmm Sa Kàddu con a capo il sindaco di Dakar, Barthéméle Dias; e la Jàmm ak Njariñ, di Amadou Ba, l’ex Primo ministro e delfino di Sall delle ultime elezioni.
La campagna whatsapp di Sall
La sorpresa maggiore di queste elezioni è stata senza dubbio il ritorno nell’agone politico di Macky Sall. Dopo la sconfitta elettorale della sua fu coalizione BBY, l’ex Presidente della repubblica aveva ufficializzato il suo ritiro dalla scena nazionale. Alle parole, erano seguiti i fatti: si era trasferito in Marocco e aveva accettato un incarico internazionale prestigioso degno di un Capo di stato in pensione. Poi, d’improvviso il cambio di programma. Si è sentito di non poter «fuggire dalle mie responsabilità» di fronte ad «un’economia che andava a rotoli», come ha dichiarato in una lettera del 6 novembre con cui spiegava il suo comeback.
Ma sorpresa nella sorpresa: la campagna elettorale l’ha condotta dal Marocco. In Senegal, non ci ha messo piede. Da qui l’etichetta di ‘’campagna whatsapp’’, coniato dai suoi detrattori.
Rischio prigione
Perché? Ufficialmente, non c’è nessuna spiegazione da parte sua o del suo partito. Ma ufficiosamente, si parla di rischio arresto al suo rientro a Dakar.
Al momento lo scenario delle manette appare piuttosto remoto. Anche se lo stesso avvocato di Sall ha dichiarato di aver personalmente sconsigliato al suo cliente di tornare. Nelle sue parole «al fine di evitare che venga inutilmente contestato, ritengo preferibile che si astenga dal venire in Senegal a fare campagna elettorale».
Ad ogni modo, sono almeno due i dossier di cui Pastef vorrebbe discutere con lui al suo rientro in patria.
Uno ha a che fare con la stretta attualità: la ‘’cucina’’ dei conti pubblici. «Le autorità che abbiamo sostituito hanno mentito al Paese e ai partner, falsificando i dati» ha tuonato Sonko lo scorso 26 settembre, alla presentazione dei risultati dell’audit delle finanze pubbliche. Audit voluta da lui e da Faye, che non si fidavano delle cifre del governo precedente.
Risultato: ora il Senegal dichiara un debito pubblico del 10,4% (e non del 5,5%) e un deficit budgetario del 83,7% (invece del 76,3%).
Una differenza di punti percentuali significativa, che il 4 ottobre ha spinto l’agenzia di rating Moody ad un immediato downgrade del rating del Senegal.
Ha inoltre posticipato a data da destinarsi, l’erogazione da parte del Fondo Monetario Internazionale delle nuove tranches del prestito da $1,8 miliardi. Boccate d’ossigeno in meno per un’economia indebolita da un anno di montagne russe politiche.
Un’amnistia che va stretta
L’altro dossier è ancora più scottante: la responsabilità per la repressione delle proteste pro-Sonko del periodo 2021-2024 e delle relative vittime, che secondo Amnesty International si aggirano sulle 60 persone.
Sono in molti a volerne chiedere conto all’ex Capo di stato: le famiglie delle vittime, riunite in un comitato; una parte della base elettorale di Pastef; e lo stesso Sonko, che è passato per processi, prigione, e scioperi della fame nell’ultimo anno del governo precedente.
Per ora Sall è al riparo da ogni procedimento giudiziario a riguardo, grazie alla controversa legge sull’amnistia da lui promulgata per i reati legati alle manifestazioni politiche del periodo in questione. Il suo governo l’ha approvata a dieci giorni dal voto delle presidenziali di marzo, presentandola come un mezzo a favore della coesione sociale di un paese scosso da tre anni di proteste. Human Rights Watch l’aveva però criticata come una misura che «apre la strada all’impunità».
La legge aveva portato alla scarcerazione di circa cinquecento prigionieri politici (perlopiù semplici partecipanti alle manifestazioni anti-governative). Tra questi figuravano anche Sonko e Faye. I due, a quel punto, forti dell’aurea degli eroi del popolo sopravvissuti al tentato martirio del governo, hanno asfaltato l’allora coalizione di governo alle urne.
Il 1 novembre, in piena campagna elettorale, Sonko è tornato a battere sulla questione, dichiarando che in caso di ottenimento della maggioranza assoluta alle legislative, eliminerà la legge sull’amnistia per portare a processo i colpevoli di quelle morti impunite.
Qui entra in gioco un dettaglio giuridico di non poco conto. In Senegal, per indagare un ex-Presidente della repubblica è necessario che i 3/5 dell’Assemblea Nazionale voti a favore. Un quorum difficile da ottenere anche per il Pastef di questi tempi e a cui potrebbe arrivare solo grazie al supporto – che al momento pare poco probabile – di deputati di altri partiti.
Vento in poppa calante
Per il tandem Faye-Sonko sarà altrettanto difficile fare meglio dello spettacolare 57% ottenuto alle presidenziali di marzo. In assenza di sondaggi affidabili, si può ipotizzare un calo fisiologico del suo consenso dopo otto mesi di governo. Un calo leggero, ma non un tracollo.
Se non ci sono stati scandali o figuracce varie finora per Pastef – cosa che i suoi detrattori si attendevano a causa dell’inesperienza di governo in un partito fatto di outsiders – c’è comunque stato qualche motivo per far storcere il naso ai suoi elettori.
Uno di questi è stata un’uscita maldestra da parte di Sonko. In seguito all’aggressione fisica di alcuni militanti di Pastef durante la campagna elettorale, aveva invitato la sua base ad una «vendetta proporzionata». Da lì, pioggia prevedibile di critiche per l’uso di frasi che incitano alla violenza. L’indomani aveva lanciato un contro-invito alla calma.
L’altro fianco prestato alla critica invece ha a che fare con la ‘’transumanza politica’’; è il termine con cui in Senegal si descrive l’improvviso cambio di casacca dei politici (in italiano, si direbbe trasformismo). Un fenomeno molto discusso nel paese e che irrita gli elettori. Negli anni passati, Sonko aveva giurato e spergiurato che non avrebbe imbarcato volta gabbane. Eppure nelle ultime settimane, ha accolto nelle sue fila almeno quattro noti politici e ex-avversari politici. Apparentemente folgorati sulla via di Pastef.
Comunque vadano le elezioni, per Sonko-Faye, il vero banco di prova come classe dirigente inizierà una volta conquistata la maggioranza (relativa o assoluta) dell’Assemblea nazionale.