Giuridicamente è una sconfitta. Politicamente è uno scappellotto, quando si temeva l’arrivo della scure.
Poteva andare molto peggio per Ousmane Sonko, il principale oppositore politico senegalese e leader del partito Pastef-les Patriotes. Il suo processo per diffamazione intentato dal ministro del turismo Mame Mbaye Niang si è concluso con una condanna a due mesi di libertà condizionale e circa 305 mila euro di multa.
Il rischio era che la sentenza imponesse il ritiro del suo nome dalle liste elettorali per 5 anni. Così non è stato. Al momento – altri processi permettendo – Sonko può ancora candidarsi alle elezioni presidenziali del febbraio prossimo.
Al centro della disputa: una sua dichiarazione del novembre 2022, in cui sosteneva che il ministro Niang era ‘’inchiodato’’ da un presunto report di un’agenzia legata allo Stato, in un affare di corruzione, risalente al periodo 2014-2017, in cui ricopriva il ruolo di ministro della gioventù e del lavoro. Niang ha da sempre descritto il report come un falso documento e aveva già denunciato per diffamazione altri giornalisti che lo avevano accusato su quella base.
La condanna era dunque nell’aria per Sonko. Quello che rimaneva da vedere era la severità della pena. La situazione sembrava virasse verso lo scenario peggiore. Uno dei suoi avvocati era stato sospeso temporaneamente dall’ordine il giorno prima della sentenza. Un altro avvocato difensore, il franco-spagnolo Juan Branco, assoldato da pochi giorni e arrivato dalla Francia, era stato respinto all’aeroporto senegalese.
La causa ufficiale del rimpatrio è stata attribuita ai suoi tweet in cui aveva dato del tiranno a Macky Sall e chiamato all’insurrezione. Ufficiosamente, si può ragionevolmente ipotizzare che le autorità del Senegal non volessero mediatizzare ulteriormente la faccenda. La presenza di Branco era infatti una garanzia di internazionalizzazione. Nonostante la giovane età (33 anni) l’avvocato in questione è tra i più noti e discussi in Francia. Negli ultimi 8 anni, è balzato agli onori della cronaca come sostenitore e difensore di personalità anti-sistema e iper-mediatizzate: da Julian Assange ai gilet gialli, passando per la persona che ha schiaffeggiato il presidente francese Macron in pubblico. Abituato al buzz mediatico, stavolta si è dovuto accontentare solo di quello, senza poter intervenire al processo.
La piazza in fermento
Gli avvocati difensori rimasti in aula avevano chiesto il rinvio dell’udienza per cause mediche. Qui la trama si infittisce. Sonko sostiene di essere sfuggito ad un tentativo di avvelenamento, avvenuto il 16 marzo, mentre veniva scortato verso il tribunale per il processo di diffamazione appena conclusosi.
Perché c’era bisogno della scorta? Perché, i guai giudiziari di Sonko sono letti dalla sua base elettorale come un mero tentativo di eliminare per vie giudiziarie l’unico vero contendente al presidente in carica Macky Sall (o chi per lui) alle elezioni presidenziali di febbraio. Il che si è tradotto in manifestazioni ad ogni tappa di questo processo. Le discese in piazza sono sistematicamente degenerate in tafferugli con le forze dell’ordine, al punto che le ultime due udienze sono state rinviate per i disordini pubblici. I disordini sono avvenuti anche fuori dalla capitale Dakar e sono proseguiti per vari giorni. Il 20 marzo, un manifestante è stato ucciso dalla polizia, nella regione della Casamance, roccaforte di Sonko, nel sud del Senegal.
Risale invece al 16 marzo – quindi all’ultimo tentativo di tenere il processo – l’episodio dell’avvelenamento. Sonko sostiene che un agente di sicurezza dello stato senegalese gli avrebbe fatto inalare delle sostanze tossiche, responsabili di difficoltà respiratorie, digestive e visive che lo hanno costretto al ricovero in ospedale. Allora aveva dichiarato che «Macky Sall si impegna apertamente nell’ennesimo tentativo di assassinio della mia persona».
I moti di piazza per Sonko non sono un’esclusiva di questo processo. Nel marzo 2021, gli scontri tra manifestanti e polizia erano costati almeno una dozzina di morti tra i civili. In quel caso, le proteste erano scoppiate in occasione di un altro processo, che vede Sonko accusato di stupro. Processo tuttora in corso, la cui data per la prossima udienza è ancora da fissare. Il suo svolgimento e l’arrivo della sentenza tengono il paese sulle spine.
Sonko rischia l’incandidabilità. Il Senegal rischia di bruciare.
Il terzo mandato di Sall sullo sfondo
Altra architrave della tensione politica nazionale è la posizione di Macky Sall rispetto alle elezioni. Sta terminando il secondo e ultimo mandato concessogli dalla Costituzione. Ma continua a rimanere vago sulle sue intenzioni di offrirsene un terzo.
La scorsa settimana ha dichiarato che non ha ancora deciso a riguardo, ma che la riforma della Costituzione effettuata nel 2016, quando lui era al governo, resetta il conto dei mandati. Ci sono buone ragioni per prenderla come una dichiarazione di candidatura implicita. Di fatto, si nasconde dietro una foglia di fico giuridica tanto debole dal punto di vista logico, quanto irritante per i suoi oppositori, che anche per questo arrivano alle mani con la polizia in strada.
Chi è contro l’idea di un Sall ter non dimentica che nella vicina Costa d’Avorio (altro pilastro francofono e solido alleato di Parigi nell’Africa occidentale) il presidente Alassane Ouattara ha utilizzato esattamente la stessa identica argomentazione nel 2020, per giustificare il suo di terzo mandato.