L’inchiesta sulla “terra dei fuochi” tunisina ha già costretto in detenzione preventiva il ministro dell’ambiente, Mustafa Aroui, vari quadri del suo gabinetto e delle dogane tunisine per rifiuti giudicati come “pericolosi” importati dal nostro paese. Secondo una fonte anonima, citata dall’AFP, le accuse con le quali i funzionari sono stati arrestati sono legate al traffico di rifiuti nocivi.
Tra i 23 arrestati figura anche il direttore dell’Agenzia nazionale per il riciclo dei rifiuti (Anged). Il ministero dell’ambiente ha fatto sapere che Aroui non aveva firmato alcun documento che autorizzasse l’importazione di rifiuti. Dal canto suo, il presidente della Commissione del buon governo del parlamento tunisino, Badreddine Gamoudi, ha accusato il primo ministro Hichem Mechichi di aver atteso troppo prima di autorizzare l’arresto di Aroui.
Il sequestro di centinaia di container ha subito fatto pensare agli inquirenti tunisini di avere a che fare con un vasto traffico basato su un giro di corruzione che ha coinvolto alti funzionari locali per lo smaltimento di rifiuti provenienti dalla Campania.
Già la scorsa estate i doganieri del porto di Sousse, città turistica dell’est della Tunisia, avevano sequestrato 212 container di rifiuti, ai quali se ne sono aggiunti 70 lo scorso novembre, chiarendo la portata senza precedenti dello scandalo sullo smaltimento dei rifiuti in corso nel paese. L’ultimo sbarco avrebbe ricevuto l’autorizzazione da parte di Anged nonostante l’assenza di un’autorizzazione ufficiale. Le indagini avevano preso il via in seguito a un reportage della tv privata El Hiwar Ettounsi.
I container contenevano rifiuti pericolosi, anche sanitari, centraline elettriche e scarti industriali, la cui importazione è proibita dalla legge tunisina e dalle convenzioni internazionali. Il traffico di rifiuti sarebbe avvenuto tramite un’azienda locale, la Soreplast, che ha ripreso le attività dopo un lungo periodo di sospensione, con la sola autorizzazione di riciclare rifiuti industriali in plastica, destinati all’esportazione.
Secondo AFP, Soreplast avrebbe firmato un contratto con un’azienda italiana – Sviluppo risorse ambientali Srl, con sede a Salerno, specializzata nel trattamento di rifiuti in Campania – con lo scopo di “recuperare ed eliminare” i rifiuti in Tunisia. All’arrivo dei container avrebbe pertanto chiesto alle autorità tunisine l’autorizzazione ad importare in via “temporanea” i rifiuti, per avviare le operazioni di riciclo.
Secondo funzionari della dogana tunisina, il documento dimostrerebbe che Soreplast ha dichiarato il falso sulla natura della merce importata. Il contratto tra l’azienda campana e Soreplast prevederebbe l’eliminazione di 120 mila tonnellate di rifiuti per un valore totale di oltre 5 milioni di euro.
La prima decisione di sequestrare e rispedire al mittente i container era arrivata lo scorso 8 luglio ma i rifiuti sono rimasti nel paese. Il traffico di rifiuti in Tunisia è in continuo aumento a causa della reticenza dei paesi asiatici, che per anni hanno accolto rifiuti pericolosi, a continuare ad autorizzarne l’importazione, insieme all’inasprirsi delle norme in materia di smaltimento di rifiuti pericolosi in Europa.
«Questo scandalo dimostra che ci sono grandi lobby corrotte», ha spiegato Hamdi Chebaane, esperto in materia dell’organizzazione ambientalista Tunisia verde. Secondo lui, il ministero dell’ambiente tunisino ha subito crescenti pressioni negli ultimi anni per permettere l’importazione di rifiuti.
Questo nonostante la Tunisia debba già affrontare un grave problema interno di smaltimento di rifiuti, fermi al 61% dell’immondizia raccolta nella capitale, secondo la Banca mondiale. In particolare le città di Sfax, Sousse e Gabes soffrono da anni di gravi abusi da parte di aziende locali che hanno inquinato falde acquifere, mare e aria, secondo le accuse lanciate dalle ong locali. A questo si aggiunge il costante sbarco di rifiuti nocivi da parte di paesi europei che aggrava l’inquinamento ambientale con effetti devastanti sull’ambiente e sulla vita della popolazione locale.