Con il mondo in fiamme, non ci voleva la sfera magica per prevedere il trionfo della corsa al riarmo. Il pendolo oscilla da quella parte dell’economia. I ricavi delle vendite di armi e servizi militari da parte delle 100 maggiori aziende mondiali del settore hanno raggiunto i 632 miliardi di dollari nel 2023, con un aumento in termini reali del 4,2% rispetto al 2022.
Sono i nuovi dati pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri).
Un quadro atteso. Soprattutto dopo i conflitti in Medioriente, Ucraina e Russia. Ma i focolai di guerra sono un po’ ovunque. Anche in Africa.
Crescono meno i colossi
Un quadro atteso, sì. Ma le sue sfumature si rivelano più ambigue rispetto a ciò che si potrebbe immaginare. Da ricalibrare l’aspetto scontato. Ad esempio, a crescere in modo consistente e costante sono i fatturati delle aziende che si trovano nella metà inferiore della Top 100. Colossi come Lockheed Martin e RTX, i due maggiori produttori di armi al mondo, hanno registrato un calo (-1,6% e 1,3%).
La stessa italiana Leonardo, (che si è piazzata al 13° posto in classifica perdendo una posizione rispetto al 2022) ha visto un calo dell’11,4% delle sue entrate rispetto all’anno precedente (12,390 miliardi di dollari contro i 13,980).
Altro dato: le aziende europee sono quelle che crescono meno. A differenza di quelle russe e mediorientali che hanno registrato i maggiori ricavi.
Il successo dell’azienda che produce testate nucleari
Tuttavia, un dato che non può passare inosservato è quello dell’Atomic Weapons Establishment del Regno Unito. È un’azienda che progetta, produce e ha la manutenzione delle testate nucleari. Ha registrato, tra le aziende britanniche, il maggiore aumento percentuale (+16%) raggiungendo i 2,2 miliardi di dollari. Non è un bel segnale.
Più flessibili le medio aziende
Ma andiamo con ordine. Come si spiega l’apparente anomalia di multinazionali – i cui ricavi arrivano per la gran parte dal militare – che hanno visto un calo dei loro ricavi? «Grandi aziende come Lockheed Martin e RTX, che producono un’ampia gamma di prodotti di armamento, spesso dipendono da catene di fornitura complesse e a più livelli, il che le ha rese vulnerabili alle persistenti sfide della catena di approvvigionamento nel 2023», ha spiegato Nan Tian, direttore del Programma di spesa militare e produzione di armi del Sipri. Quelle più in basso in classifica sono state più reattive nel rispondere alle crescenti tensioni, in particolare alla nuova domanda legata alle guerre a Gaza e in Ucraina.
Ma il calo è solo momentaneo e non riflette appieno l’entità della domanda. Tanti colossi armieri stanno assumendo molto personale, segnala il Sipri. Questo significa che sono ottimisti sulle vendite future.
Resta poi il dato che 73 delle 100 aziende presenti in classifica hanno registrato una crescita annua, rispetto alle 47 del 2022.
41 aziende sono statunitensi
Hanno sede negli Usa 41 delle 100 aziende presenti nella classifica. Hanno registrato entrate per 317 miliardi di dollari, la metà delle totali, il 2,5% in più rispetto al 2022. Dal 2018, le prime cinque aziende della classifica hanno tutte sede negli Stati Uniti.
La crescita più bassa in Europa
L’industria europea degli armamenti è tra quelle cresciute meno rispetto al resto del mondo. Mettendo assieme le 27 aziende che hanno sede nel continente (esclusa la Russia) i loro ricavi ammontano a 133 miliardi di dollari. Si tratta di un aumento dello 0,2% rispetto al 2022. Sipri precisa, tuttavia, che le aziende europee hanno lavorato per lo più su contratti firmati prima del 2023 e «i loro ricavi per l’anno in corso non riflettono quindi l’afflusso di ordini».
I record delle aziende russe e mediorientali
Inevitabile che le aziende russe e dei paesi mediorientali registrino la percentuale più alta di crescita.
Le due aziende russe che si trovano nella top 100 hanno aumentato i loro ricavi del 40%, raggiungendo una cifra stimata di 25,5 miliardi di dollari. «Ciò è dovuto quasi interamente all’aumento del 49% dei ricavi da armi registrato dalla Rostec, una holding statale che controlla molte aziende militari russe».
Sui dati di Mosca come su quelli di Pechino, Sipri mette le mani avanti: sono stime perché è assai complicato avere dati certi provenienti da quei paesi.
Medioriente: sono sei i produttori di armi che hanno sede in quell’area del mondo e che compaiono in classifica. Il loro fatturato complessivo è cresciuto del 18%, raggiungendo i 19,6 miliardi di dollari.
Con lo scoppio della guerra a Gaza sono “esplosi” anche i ricavi delle 3 aziende israeliane: hanno raggiunto i 13,6 miliardi di dollari. L’estensione dei conflitti in Libano e in altre aree mediorientali rappresenteranno l’innesco per altre fonti di guadagno delle aziende israeliane.
Il caso Turchia
Altro paese dove le aziende militari sono in forte espansione è la Turchia. È noto come Ankara stia allargando il suo potere militare in molte aree del mondo. Le sue aziende sono ben presenti in Africa. E ora Ankara è tra i protagonisti del ritorno del conflitto in Siria. Le tre aziende con sede in quel paese hanno visto crescere i loro ricavi del 24%, raggiungendo i 6 miliardi di dollari, grazie alle esportazioni indotte dalla guerra in Ucraina e alla continua spinta del governo turco verso l’autosufficienza nella produzione di armi. Le esportazioni della Baykar, che produce veicoli aerei armati senza equipaggio (i famosi droni) hanno rappresentato circa il 90% delle sue entrate di armi nel 2023. Entrate aumentate del 25% rispetto al 2022, raggiungendo 1,9 miliardi di dollari.
Leonardo e Fincantieri, il calo maggiore
Nel 2023 i ricavi di Leonardo e Ficantieri, le due aziende italiane presenti in classifica, si sono ridotti complessivamente del 10% rispetto al 2022. È il dato peggiore, come paese, tra quelli in classifica. Leonardo ha perso l’11%, calo dovuto a una diminuzione dei profitti dai suoi segmenti di aeromobili ed elicotteri. I ricavi dal settore militare di Fincantieri (51° posto) sono invece diminuiti del 6%: 2,8 miliardi di dollari. Un calo fisiologico dopo la consegna finale al Qatar di navi nell’ambito di un importante accordo di esportazione.
Ultimo dato: il 75% dei ricavi di Leonardo arriva dal militare. Il 34%, invece, per Fincantieri.