Al-Shabaab, il movimento jihadista da molti anni presente in Somalia, rappresenta da tempo la filiale di al-Qaida nell’Africa orientale. Le regioni in cui opera sono larga parte della Somalia meridionale e con alcune sacche di presenza in Kenya e in Etiopia.
L’organizzazione jihadista dal 2007 combatte contro il governo somalo e la missione di transizione dell’Unione Africana in Somalia (ATMIS), che dovrebbe completare il proprio ritiro dal paese entro la fine dell’anno.
Dopo la rielezione, nel maggio 2022, del presidente Hassan Mohamud che gli aveva dichiarato una “guerra totale”, i terroristi avevano lanciato una forte ondata di attacchi contro infrastrutture sociali e installazioni governative e militari. Attacchi che continuano ancora oggi.
Genesi
Il movimento radicale che lo aveva preceduto, l’Unione islamica (al-Ittihad al-Islami), era stato l’incubatore di molti degli attuali leader di al-Shabaab. Nei primi anni 2000 un gruppo più giovane e intransigente si separò dall’Unione ponendosi come obiettivo la creazione di una “grande Somalia” governata secondo la legge islamica (sharia).
Il nuovo gruppo unì in seguito le forze con l’Unione delle Corti islamiche (UCI), coalizione nata nel 2006 per contrastare il potere dei Signori della guerra che, dalla caduta del dittatore Siad Barre nel 1991, si spartivano il territorio.
Nel dicembre del 2006 il governo provvisorio, sostenuto militarmente dalle forze etiopiche occupanti e dagli Stati Uniti, riuscì a cacciare le Corti islamiche da Mogadiscio.
La maggior parte dei combattenti dell’UCI si ritirò nei paesi vicini, altri invece si diressero a sud, riemergendo in seguito come gruppo di guerriglia con il nome di al-Shabaab (la gioventù in arabo) e conquistando il territorio nella Somalia centrale e meridionale.
Nel frattempo, organizzando con successo il reclutamento di simpatizzanti e rinforzandosi finanziariamente, nel 2008 al-Shabaab si rinsaldò, passando da gruppo di piccole dimensioni a un’organizzazione di circa 9mila militanti.
Nello stesso anno stabilì i propri legami con al-Qaida, anche se formalmente solo nel 2012 promise totale fedeltà al movimento fondato da Osama bin Laden.
Negli anni successivi al-Shabaab pose in atto alcuni attacchi di alto profilo nei paesi limitrofi alla Somalia, inclusi gli attacchi del settembre 2013 al Westgate Mall a Nairobi, in cui rimasero uccise 68 persone, e l’attacco all’Università di Garissa il 2 aprile 2015, che provocò 148 vittime. Nell’ottobre 2017 un altro attacco mortale con un camion carico d’esplosivo detonato all’incrocio più trafficato di Mogadiscio, provocò ben 587 morti.
Grazie alla sua capacità di sferrare azioni altamente letali, al-Shabaab è stato definito allora il gruppo terroristico più mortale in Africa e il secondo più mortale al mondo. Secondo il Global Terrorism Index, nel 2022 è stato responsabile di 733 morti, il 97% di tutti i decessi legati al terrorismo quell’anno a livello globale.
Visione
Come accennato, al-Shabaab sogna uno stato islamico fondamentalista che includerebbe Somalia, Gibuti, Kenya ed Etiopia. Secondo la sua visione, la democrazia è un’sistema per i non musulmani (infedeli), quindi deve essere combattuta e sconfitta.
La maggior parte dei giovani seguaci viene reclutata sui social media e sul terreno, specialmente in Somalia e Kenya. Nel 2017, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha dichiarato che oltre la metà dei combattenti di al-Shabaab potrebbero essere minorenni, evidenziando la strategia del gruppo di sostituire i combattenti anziani con militanti giovani.
Naturalmente l’organizzazione si preoccupa che la maggior parte dei combattenti sia di etnia somala e faccia parte dell’islam sunnita, il che gli consente di trarre vantaggio sia dal nazionalismo somalo che dalla religione maggioritaria del paese.
Addestramento
La promessa di fedeltà del 2012 ha dunque avvicinato al-Shabaab ad al-Qaida nella penisola arabica (AQAP) e ha dato tra l’altro l’opportunità al movimento jihadista somalo di inviare i propri militanti in Afghanistan per essere addestrati. Con un obiettivo comune da combattere: gli Stati Uniti. Inoltre, diversi istruttori qaidisti si sono trasferiti negli anni in Somalia per addestrare i combattenti nel loro paese.
La collaborazione avviene in numerosi settori: dall’indottrinamento e dalla capacità di guerriglia, alla realizzazione di esplosivi improvvisati e di autobombe, dalla conduzione e messa in atto di attentati suicidi, alla presa di ostaggi e omicidi mirati.
Finanziamenti
Il gruppo riscuote le tasse sui veicoli da trasporto che viaggiano nelle aree da esso controllate e costruisce dispensari e scuole coraniche nelle aree sotto il suo controllo. Distribuendo cibo, vietando l’uso di droghe e riducendo la criminalità, cerca di proporsi come organizzazione assistenziale per conquistare la fiducia della popolazione.
Fin dalla sua nascita, al-Shabaab è dipesa da molteplici fonti di finanziamento, compreso il sostegno della diaspora somala. Dopo aver conquistato la città portuale di Kisimayo nel 2008, il gruppo aveva avuto modo di guadagnare notevoli somme dal commercio illegale di carbone. Tanto che, proprio per contrastare questa fonte di reddito, nel 2012 le Nazioni Unite avevano vietato le esportazioni di carbone dalla Somalia.
Negli anni il gruppo ha saputo però diversificare le fonti di entrate, ricavando risorse anche da investimenti in oro e speculazioni edilizie con la complicità di parte del sistema bancario.
Secondo l’ONU, il gruppo incassa fino a 100 milioni di dollari all’anno attraverso fonti diverse, comprese le tasse riscosse nei porti di ingresso, dazi sulle merci, tassazioni ai posti di blocco ed estorsioni.
Il conflitto tra governo e al-Shabaab si trascina ormai da 17 anni. E in molti è cresciuta la convinzione che il movimento jihadista non possa essere sconfitto solo con operazioni militari. E che serva esplorare altre opzioni, comprese quelle di eventuali negoziati.