Somalia: al-Shabaab sempre più forte attende l’addio di ATMIS
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La missione dell'UA dovrebbe lasciare a dicembre in modo definitivo
Somalia: al-Shabaab sempre più forte attende l’addio di ATMIS
Il gruppo legato ad al-Qaeda sta ampliando la sua influenza e strigendo alleanze in tutta l'Africa orientale
16 Luglio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 5 minuti
Foto dal profilo Flickr di ATMIS Somalia

Molti analisti già si chiedono cosa potrà succedere in Somalia dopo che gli ultimi contingenti dell’ATMIS gestiti dall’Unione Africana (UA), ridotti a circa 13.000 unità dopo che oltre 5000 soldati si sono ritirati in due diverse fasi, completeranno in dicembre il ritiro dal paese. Funzionari della stessa UA non escludono che gli islamisti di al-Shabaab, già in controllo di vasti territori, prendano il sopravvento sulle forze dell’esercito regolare di Mogadiscio, quando questo resterà da solo a fronteggiare il gruppo jihadista, legato alla galassia transnazionale di al-Qaeda.

Michael Langley, responsabile del comando militare UA-Africa (Africom), qualche tempo fa aveva dichiarato: «La progressiva riduzione delle truppe dell’ATMIS spinge al-Shabaab ad approfittare dell’aumento dell’insicurezza. L’Esercito nazionale ne è consapevole e sta rafforzando le proprie difese per essere in grado di far fronte alle sfide della transizione che sorgono dal trasferimento di varie basi dall’ATMIS all’esercito di Mogadiscio».

Addio o arrivederci? 

Per questo motivo l’UA spinge per la creazione di una nuova forza in sostituzione dei peacekeeper dell’Unione Africana. Molti sono infatti i segnali d’allarme che indicano come al-Shabaab già si stia rafforzando e i combattenti islamici rappresentino più che mai un grave pericolo. Si tratta di un rischio reale, anche se un funzionario governativo somalo ha reagito con irritazione alle dichiarazioni secondo cui al-Shabaab negli ultimi due anni avrebbe annullato tutte le conquiste fatte dall’esercito nazionale.

La Missione di transizione dell’UA (ATMIS), che in precedenza, dal 2007, aveva operato come AMISOM (Missione dell’UA in Somalia), include unità provenienti da Kenya, Uganda, Burundi, Gibuti ed Etiopia. Al-Shabaab, il cui obiettivo finale è il sovvertimento del governo di Mogadiscio, ha effettuato in quasi 15 anni una serie di attacchi terroristici mortali in Somalia, Kenya e Uganda, uccidendo centinaia di civili.

Tra gli attentati più efferati del gruppo armato fuori dalla Somalia, va ricordato quello di luglio 2010 a Kampala (Uganda), nel quale rimasero uccisi 76 tifosi di calcio che stavano guardando in televisione la finale della Coppa del mondo di calcio, e quello condotto a Nairobi, capitale del Kenya, nella Westgate Mall, il 21 settembre 2013. L’incursione nel centro commerciale causò la morte di 71 persone, tra cui 62 civili, cinque soldati keniani e quattro jihadisti. In quest’ultimo assalto rimasero inoltre ferite più o meno gravemente oltre 200 persone.

In espansione 

Al Shabaab, diversamente dai vari gruppi del Sahel che operano solo in alcune aree, definite per quanto estese (Boko Haram, Jama’a Nusrat al-Islam wa al-Muslimin – JNIM, legato ad al-Qaida nel Maghreb Islamico (ISGS), Jamaʿat ahl as-Sunna li-daʿwa wa’l-Jihad, legato all’ISIS ecc.), può colpire ovunque in Somalia e altrove. È inoltre risaputo che da tempo ha stabilito legami con le Forze Democratiche Alleate (ADF), gruppo ribelle islamista ugandese che ha lasciato una scia di distruzione nell’area orientale della Repubblica democratica del Congo, dove agisce da quasi 25 anni.

Il numero di combattenti di vari paesi africani unitisi a al-Shabaab, noti come Muhajirin, d’altro lato, negli anni è andato aumentando. Si contano tra costoro keniani, etiopici e tanzaniani, ma ci sono anche congolesi, burundesi, ruandesi e ugandesi. Ciò dimostra che, quando ancora pochi se ne rendevano conto, al-Shabaab era impegnato a stabilire nel continente una forza pan-orientale.

Secondo alcune fonti, i Muhajirin sono guidati da un militante di origine kenyana. E hanno già condotto attentati a Kampala e, alla fine di giugno 2023, un massacro notturno in una scuola ugandese vicino al confine con la Repubblica Democratica del Congo (RDC). Da altre informazioni si sa, peraltro, che l’ADF fornisce clandestinamente ad al-Shabaab minerali rari dal Congo orientale in cambio di addestramento e armi.

Mogadiscio e la paura di uno scenario “afghano” 

Tornando in Somalia, il gen. Langley ha incontrato di recente il presidente somalo Hassan Mohamud, giunto al potere nel 2022. Nell’ambito del contrasto ad al-Shabaab, Mohamud ha dato sostegno ai gruppi di autodifesa che si sono impegnati volontariamente nel sostenere le forze nazionali in molte città e villaggi. Il suo governo ha inoltre già presentato all’UA la richiesta che il ritiro dell’ATMIS avvenga in modo scaglionato e graduale, così da dare alle forze governative un tempo sufficiente per ricostituirsi in modo efficace, avanzando inoltre la proposta che venga stabilito un nuovo accordo al fine di mantenere la presenza di forze straniere dopo la dipartita di ATMIS.

Molti analisti temono, d’altro canto, che la Somalia, nel prossimo anno, si trovi ad affrontare uno scenario simile a quello dell’Afghanistan nel 2021, quando le forze statunitensi e alleate abbandonarono affannosamente il paese senza garantire sufficienti misure di sicurezza, aprendo così la strada alla riconquista del potere da parte dei talebani.

Qualche giorno fa, tra l’altro, il rappresentante speciale in Somalia del segretario generale dell’ONU Antònio Guterres, James Swan, di fronte agli ambasciatori accreditati a Mogadiscio, ha osservato che, benché il governo abbia posto come prioritaria la sicurezza durante la transizione, il gruppo jihadista rappresenta una potente minaccia. Un parere che trova conferma anche in Mohamed El-Amine Souef, responsabile di ATMIS.

Il dirigente ha riconosciuto la resilienza e le risorse di al-Shabaab, citando anche i recenti assalti in alcune parti dello stato di Galmudug e nelle basi di ATMIS nel sud-ovest del paese. Le incognite relative al dopo ATMIS preoccupano quindi l’intera comunità internazionale, in una regione come il Corno d’Africa, dove le condizioni di instabilità negli ultimi anni non hanno fatto che moltiplicarsi.

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