In Somalia si intensifica lo scontro tra il presidente Hassan Mohamud e il governatore della regione semi-autonoma del Jubaland. Un braccio di ferro che nasce da profonde divergenze sulla prevista adozione di un nuovo sistema elettorale.
Un’escalation che evidenzia antiche e profonde fratture all’interno della struttura federale del paese. Ma andiamo per ordine.
Nonostante la vigorosa opposizione di Mogadiscio, il 25 novembre presidente del Jubaland Ahmed Madobe ha ottenuto la rielezione per un terzo mandato, assicurata tramite un voto indiretto (il parlamento nomina il presidente) da lui gestito unilateralmente.
Mandati d’arresto incrociati
Il governo federale ha risposto con una risoluzione unanime che decretava l’annullamento del voto, definito “illegale e incostituzionale”, imponendo al procuratore generale di emettere un mandato di cattura nei confronti di Madobe, per “tradimento”, atti contro la Costituzione e presunta condivisione di informazioni riservate di carattere nazionale con un paese straniero.
Madobe ha subito replicato difendendo la correttezza della sua rielezione e facendo emettere a sua volta un mandato di arresto per il presidente somalo Hassan Mohamud. Le accuse mosse contro il capo di stato somalo sono tradimento, cospirazione con al-Shabaab, abuso di potere, minaccia all’unità nazionale, cattiva gestione finanziaria e appropriazione illegale di terreni.
Eserciti schierati
Ma questa escalation di tensione non si limita allo scontro politico e giudiziario, sviluppandosi in modo preoccupante anche sul piano militare.
Nei giorni scorsi ci sono stati sporadici scontri a fuoco tra le truppe dell’esercito nazionale inviate da Mogadiscio e quelle del Jubaland dispiegate a Raskamboni, città strategica della regione vicino al confine kenyano.
Deja vu
La Somalia sembra rivivere quanto avvenuto nel 2021, quando l’allora presidente Mohamed Abdullahi “Farmajo” tentò di imporre il passaggio dal sistema elettorale indiretto – in cui i delegati dei clan eleggono i membri del parlamento che a sua volta nomina il presidente -, in vigore da oltre mezzo secolo, a un sistema basato sul suffragio universale, in cui sono i cittadini a scegliere il capo dello stato.
Un tentativo naufragato a causa della stenua opposizione di alcuni stati federali, tra cui il Jubaland di Madobe.
Oggi Hassan Mohamud pare determinato a portare a termine l’impresa. Il percorso di modifica è già avviato e prevede l’approvazione da parte del parlamento di tre leggi (emendamenti) entro la fine dell’anno. Un iter – che prevede anche la creazione di un sistema multipartitico con tre partiti politici – che è stato avviato non senza difficoltà lo scorso agosto con il via libera del governo.
Tra i più feroci oppositori ci sono ancora gli stati federali di Jubaland, Puntland e Juba, sostenuti dagli ex presidenti somali, secondo cui il nuovo sistema elettorale concederebbe troppi poteri al presidente, consentendogli di estendere i suoi mandati.
Le prossime elezioni in Somalia sono previste nel 2026, ma lo scenario attuale non sembra dunque garantire che si svolgeranno finalmente con la partecipazione diretta della popolazione.