Somalia: falsi passaporti diplomatici per raggiungere l’Europa
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Un’inchiesta rivela una rete che coinvolge funzionari del ministero degli Esteri e trafficanti coperti da agenzie di viaggio
Somalia: falsi passaporti diplomatici per raggiungere l’Europa
Ai “clienti” che vogliono raggiungere l'Europa vengono consegnati passaporti diplomatici, lettere di accreditamento e un documento d'identità del ministero che permettono loro di viaggiare come membri di delegazioni governative. Horn Observer rivela anche una prassi di compravendita di posizioni nell’intelligence e di gradi nella polizia
30 Settembre 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 5 minuti

Un’inchiesta giornalistica sotto copertura in Somalia ha rivelato le attività di una rete per il traffico di persone verso l’Europa, per mezzo di credenziali diplomatiche, che coinvolge funzionari del ministero degli Esteri, un istituto bancario e trafficanti legati ad agenzie di viaggio.

Dietro al pagamento di decine di migliaia di dollari ai “clienti” vengono consegnati passaporti diplomatici, lettere di accreditamento e un documento d’identità del ministero degli Esteri che permettono loro di lasciare la Somalia in qualità di membri, e al seguito, di delegazioni governative.

Fingendosi interessato a raggiungere un paese europeo, il reporter del Horn Observer ha presenziato a una riunione, in un hotel di Mogadiscio, di funzionari che lavorano per il ministero degli Esteri, “impegnati in accordi con trafficanti di esseri umani che gestiscono agenzie di viaggio in tutta la capitale”.

In queste vesti ha assistito a una trattativa con una donna che chiedeva di arrivare a Ginevra. «Possiamo risolvere la questione. Di solito il governo invia delegazioni per partecipare a varie conferenze a livello ONU a Ginevra», le ha assicurato il funzionario del ministero.

«Se Ginevra non funziona, possiamo provare con altri paesi: Francia, Germania o Finlandia», ha aggiunto. Alla donna viene chiesto di pagare 10mila dollari per il servizio.

A questo punto, racconta Horn Observer, interviene il suo trafficante, tale Mohamud, che è il proprietario di un’agenzia di viaggi e “lavora anche all’immigrazione somala, dove collabora con altri per facilitare l’operazione di traffico”.

Mohamud spiega che la sua rete si estende da Mogadiscio ad Hargeisa, capitale del Somaliland, lo stato somalo autoproclamatosi indipendente nel 1991, e fino Nairobi, «coinvolgendo funzionari dell’ambasciata somala in Kenya».

«Negli ultimi sei mesi abbiamo inviato con successo 28 persone», racconta l’uomo. «Riceviamo sempre più richieste, ma accettiamo solo pochi clienti perché il nostro servizio è costoso» aggiunge, spiegando che i costi sono così alti a causa delle tariffe richieste dai funzionari governativi.

Per avviare la procedura viene chiesto di depositare il denaro su un conto della Premier Bank a Mogadiscio. Solo allora inizierà l’elaborazione dei documenti e, una volta che il “cliente” avrà raggiunto la sua destinazione, il trafficante preleverà il denaro spartendolo con la rete di complici.

Una rete che non escluderebbe i vertici della polizia – tra cui appunto il servizio di immigrazione -, tra cui lo stesso capo Sulub Ahmed Firin, licenziato il 25 settembre scorso perché accusato di essere coinvolto in tratta di esseri umani, traffico sessuale di minori, corruzione e vendita di gradi di polizia a circa 280 individui, tra cui membri di milizie claniche e disertori di gruppi armati.

Molti di questi, sospettati di essere coinvolti in attività illecite come il contrabbando di droga, il commercio di armi e, appunto, il traffico di esseri umani, fa sapere il Horn Observer.

Lo stop dell’Ambasciata d’Italia

Il sistema, ammette Mohamud, «va avanti da anni». Ma solo recentemente si è mosso l’Interpol e l’allarme è scattato tra le cancellerie delle sedi diplomatiche europee.

Tra le prime quella dell’Italia, la cui Ambasciata a Nairobi lo scorso 24 settembre ha comunicato l’immediata sospensione di tutti i visti Schengen rilasciati dall’Ambasciata italiana a Mogadiscio, precisando che da quella data “tutte le domande relative a qualsiasi tipo di visto d’ingresso devono essere presentate direttamente dai richiedenti all’Ambasciata d’Italia a Nairobi”.

Lo scarno comunicato inviato all’Ambasciata d’Italia in Somalia non forniva motivazioni per la drastica decisione. Ma dopo l’inchiesta del Horn Observer lo scopo appare piuttosto chiaro.

Poltrone in vendita nell’intelligence

Il quotidiano somalo in questi giorni sta scoperchiando un sistema di corruzione ad alti livelli che coinvolge anche un’altra potente istituzione dello stato, come i servizi segreti.

La testimonianza è quella di un giovane neolaureato che ha raccontato di una trattativa con un funzionario di medio livello della National Intelligence and Security Agency (NISA), per ottenere, dietro pagamento di 11mila dollari, il posto di Direttore delle operazioni per la NISA nella regione meridionale del Middle Shabelle.

Il funzionario avrebbe spiegato all’uomo che l’attuale direttore sta lasciando il paese e “vuole vendere la sua posizione e la sua carta d’identità”. E che “una volta effettuato il pagamento, i funzionari senior della NISA emetteranno una lettera di conferma di questa posizione”. A quel punto il gioco è fatto.

L’ingresso in questo modo di personale non qualificato all’interno dell’intelligence somala (oltreché, come detto, nella polizia di stato) è favorito dalla mancanza di un registro ufficiale o di un database per verificare i documenti del personale, ed è spesso sufficiente una semplice raccomandazione tramite passaparola.

Inutile sottolineare come questo ramificato sistema di corruzione, di compravendita di posizioni di rilevo in istituzioni chiave e di credenziali diplomatiche favorisca le infiltrazioni di gruppi criminali e di uomini legati ai terroristi al-Shabaab.

La NISA, in particolare, scrive il Horn Observer, “è stata descritta come una delle agenzie più compromesse in Somalia, frequentemente infiltrata da al-Shabaab, che ha dato al gruppo accesso a informazioni riservate”, tra cui, tra l’altro, “documenti e apparecchiature di comunicazione relative alle operazioni con i droni turchi e statunitensi”.

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