Si aggrava la crisi politica in Somalia, dove il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo, e il primo ministro Mohamed Hussein Roble sono al centro di una lotta di potere che si è intensificata lo scorso 8 settembre, dopo il licenziamento, deciso da Roble, del ministro della sicurezza interna, Hassan Hundubey Jimale.
Le tensioni politiche si sono ulteriormente acuite l’indomani, in seguito alla nomina nel dicastero di Abdullahi Mohamed Nur, un fermo oppositore di Farmajo. Quest’ultimo, insieme al presidente del parlamento somalo Mohamed Mursal Abdirahman, non ha esitato a ricusare la nomina, affermando che il giuramento del nuovo ministro della sicurezza è incostituzionale poiché Roble non ha ottenuto l’approvazione del parlamento.
L’ultima mossa l’ha fatta il presidente il 16 settembre, sospendendo il potere del primo ministro di assumere e licenziare funzionari. Decisione che Roble ha definito incostituzionale, annunciando che non la rispetterà.
L’escalation della frattura tra i massimi leader politici somali ha sollevato l’attenzione delle missioni estere di peacekeeping operative nel paese e delle Nazioni Unite, che in una dichiarazione congiunta hanno invitato i due leader a risolvere le loro divergenze, affermando che la spaccatura potrebbe far deragliare il processo elettorale in corso.
Il rinnovato contrasto politico minaccia infatti l’organizzazione delle elezioni presidenziali e legislative del prossimo autunno che dovrebbero scongiurare la grave crisi costituzionale che si stava profilando lo scorso aprile, quando il presidente Farmajo ha tentato di prolungare il suo mandato.
Le tensioni politiche hanno creato divisioni tra le forze di sicurezza a Mogadiscio, frammentate lungo le linee dei clan. Da parte loro, i jihadisti somali hanno saputo sfruttare l’opportunità per intensificare gli attacchi suicidi nella capitale, dimostrando ancora una volta di essere in grado di capitalizzare a proprio favore le divisioni di leadership e l’incertezza causate dalla crisi del governo centrale.
Nel frattempo, il gruppo terrorista affiliato ad al-Qaida continua a condurre attacchi anche nel resto della Somalia e nella costa orientale del vicino Kenya, prendendo di mira civili, obiettivi governativi somali e gli effettivi della missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom).
La missione di peacekeeping già nel 2020 avrebbe dovuto trasferire alle forze di sicurezza somale il comando della gestione della sicurezza nel paese del Corno d’Africa, ma questo cruciale passaggio ha subito molteplici ritardi e battute d’arresto a causa del susseguirsi degli attacchi di al-Shabaab, la corruzione e le lotte intestine all’interno dei ranghi militari somali.
Per di più, l’incapacità dei politici locali di attuare riforme e di adottare una legislazione utile ad innalzare il livello di sicurezza in Somalia ha consentito ai terroristi somali di architettare e condurre attentati in diverse aree del paese. Questa lunga serie di attacchi ha eroso ulteriormente la capacità del governo somalo di garantire stabilità e alleviare la terribile situazione umanitaria che affligge il paese. Tutto questo, lo scorso 12 maggio, ha indotto il Consiglio di pace e sicurezza dell’Unione africana a prorogare il mandato dell’Amisom fino alla fine del 2021.
Oltre alla politica, c’è anche un altro contesto in cui al-Shabaab esercita un certo impatto: quello economico. A partire dal fatto che i giovani disoccupati, che rappresentano quasi il 20% della popolazione somala, contribuiscono in maniera determinante all’attività di insorgenza di al-Shabaab, che è considerato come una forma alternativa di occupazione.
Uno dei più stimati analisti politici della Somalia, Kenneth Menkhaus, ha indagato a fondo sul sistema economico parallelo adottato da al-Shabaab, partendo dal fatto che l’intero apparato economico somalo è caratterizzato da “regole consolidate che fanno perno sull’uso della violenza politica” condiviso da al-Shabaab, politici, uomini d’affari e capi clan che si alleano e si contendono il potere e l’appropriazione delle risorse.
Una rete tentacolare che raggruppa un insieme di mafie e cartelli concorrenti, che ricorrono all’uso della violenza politica quando lo ritengono opportuno. Un sistema caratterizzato da livelli di collusione molto elevati, nel quale al-Shabaab ha saputo penetrare efficacemente per creare insicurezza e quindi fornire i presupposti al governo per elevare il livello di protezione.
In altre parole, come una mafia, al-Shabaab seminerebbe violenza per poi pretendere ingenti somme di denaro in cambio della protezione contro la sua stessa violenza. Senza dimenticare che i politici somali traggono vantaggio dall’usare la minaccia di al-Shabaab per inasprire le misure di sicurezza e siglare accordi con i finanziatori stranieri, che forniscono supporto militare.
Del resto, l’ultimo indice di percezione della corruzione pubblicato da Trasparency International, relega la Somalia all’ultimo posto della speciale graduatoria insieme al Sud Sudan, per la spiccata propensione dei suoi politici e uomini d’affari di appropriarsi indebitamente degli aiuti esteri.
Mentre in Somalia c’è chi può trarre beneficio dalla contiguità con al-Shabaab, la categoria più danneggiata risulterebbe quella degli agricoltori che vivono nel sud della Somalia, roccaforte del gruppo estremista militante, che sono continuamente soggetti a estorsioni e rapimenti.
Del resto, come comprovato da un dettagliato studio della Fondazione per la difesa delle democrazie (Fdd), con base a Washington, i sovvenzionamenti al gruppo provengono principalmente da un ampio sistema di tassazione che garantisce entrate cospicue al movimento estremista, drenando risorse al governo federale.