Nonostante la forte instabilità e il persistente radicamento del terrorismo jihadista, la Somalia è uno dei soli otto paesi al mondo che non ha mai ottemperato alla risoluzione 1540 del Consiglio di sicurezza (UNSCR) che impone ai 193 stati membri delle Nazioni Unite di presentare un rapporto sulle misure messe in campo per impedire ad attori non statali di ottenere armi di distruzione di massa o materiali che possono essere usati per produrle.
La risoluzione è stata adottata nel 2004 e in venti anni Mogadiscio non ha mai presentato alcun rapporto. Nei giorni scorsi l’ennesimo richiamo del Comitato per la risoluzione 1540, pare essere ancora una volta caduto nel vuoto.
Degli otto paesi che ancora devono adempiere a questo obbligo fondamentale, sette sono africani. Oltre alla Somalia, Gambia, Eswatini, Mauritania, Ciad, Mali e Guinea. L’ottavo è la Corea del Nord.
Eppure il paese del Corno d’Africa è uno tra i più a rischio al mondo, in particolare dopo la rimozione, nel 2023, di un embargo sulle armi durato 31 anni.
Da allora il traffico illecito di armamenti è lievitato con la conseguente proliferazione di armi ed esplosivi a vantaggio delle milizie claniche e dei terroristi di al-Shabaab e Stato islamico, quest’ultimo legato al movimento houthi nello Yemen, da cui transitano larga parte dei carichi di produzione iraniana.
Traffici favoriti dalla debolezza delle istituzioni e da funzionari corrotti implicati nel facilitare il trasporto e le vendite.