Sale la tensione politica in Somalia in seguito all’approvazione di alcuni importanti emendamenti alla Carta costituzionale che hanno scatenato una dura reazione da parte dello stato semi-autonomo del Puntland.
Il 30 marzo le due camere del parlamento hanno approvato all’unanimità quattro modifiche costituzionali fortemente volute dal governo del presidente Hassan Mohamud, su libertà di espressione (articolo 17), rappresentanza delle donne (articolo 47), numero di partiti politici (articolo 54) e sistema di leadership (articolo 49).
Le più rilevanti, e contestate, riguardano proprio quest’ultimo punto, con l’introduzione di elezioni presidenziali dirette – al posto dell’attuale voto indiretto su base clanica, in vigore da più di mezzo secolo – e della possibilità per il presidente di nominare e revocare il primo ministro senza l’approvazione del parlamento.
L’attuale Costituzione consente al presidente di nominare il primo ministro, ma il parlamento ha l’autorità di rimuoverlo.
Gli emendamenti hanno anche introdotto il sistema multipartitico con tre formazioni politiche nazionali.
Le modifiche sono contestate dalle opposizioni, primi fra tutti gli ex presidenti Sharif Ahmed e Mohamed Abdullahi Farmajo che denunciano la volontà di portare il paese verso un sistema fortemente presidenzialista indebolendo le garanzie di equilibrio democratico delle istituzioni.
Particolarmente dura la reazione del Puntland che si è auto-sospeso dal sistema federale, dichiarando che si governerà e “agirà in modo indipendente finché non ci sarà un governo federale con una costituzione concordata da un referendum”.
Non è chiaro se il Puntland richiamerà i suoi 48 legislatori, i ministri e i funzionari pubblici che lavorano nell’istituzione federale.
A sollevare un ulteriore polverone sul voto parlamentare è il segretario generale del sindacato dei giornalisti somali, Abdalle Mumin, che in un articolo sul quotidiano online Horn Observer descrive la votazione come un “evento caratterizzato dallo sfacciato scambio di tangenti in cambio di voti e considerato uno dei più costosi nella storia parlamentare somala dalle controverse elezioni presidenziali del maggio 2022 … quando i pagamenti per corruzione avrebbero superato i 20 milioni di dollari in totale”.
“Come confermato da alcuni parlamentari e da altre fonti con cui abbiamo parlato – scrive Mumin -, ogni parlamentare avrebbe intascato una somma sostanziosa di 20mila dollari in cambio del suo cruciale voto ‘sì’, con pagamenti facilitati direttamente dall’Ufficio del presidente Mohamud”.
Somme che per alcuni, come il presidente della Camera bassa del parlamento Adan Madobe, sarebbero state “comprese tra i 50 e i 100mila dollari, per il loro ruolo chiave nell’orchestrazione dell’affare”.
“Secondo una nostra stima indipendente – prosegue Mumin -, questa somma collettiva ammonta alla sbalorditiva cifra di oltre 5 milioni di dollari in tangenti”.
L’articolo si conclude con un accorato appello alla società civile, ai media e ai partner internazionali perché si oppongano con forza contro tali pratiche di corruzione. “In caso contrario – avverte il giornalista – si rischia il collasso della fiducia sociale, l’erosione dei principi democratici e il perpetuarsi del ciclo di povertà e instabilità che affligge la società somala”.