L’obiettivo di una riduzione generale della produzione di plastica si allontana.
Si è concluso infatti senza progressi in questa direzione il terzo round di negoziati per elaborare, entro il prossimo anno, un trattato giuridicamente vincolante per il controllo dell’inquinamento globale causato dalla plastica.
La serie di incontri del Comitato negoziale intergovernativo (INC-3), tenuti a Nairobi dal 13 al 19 novembre con la partecipazione oltre 1.900 delegati in rappresentanza di 161 nazioni – tra cui membri delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea – e più di 318 organizzazioni di osservatori, sono stati descritti da alcuni gruppi non governativi come un “enorme fallimento”.
Nonostante il pressoché unanime accordo sull’urgenza di trovare soluzioni efficaci contro la diffusione di materie plastiche che contaminano acqua, terra e aria, entrando nelle catene alimentari, a dominare sono stati infatti gli interessi degli esportatori di combustibili fossili e delle industrie petrolchimiche, sponsorizzati da paesi come Iran, Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia, Cina e India.
Una minoranza – decisamente contraria a una riduzione della produzione e che spinge unicamente su una migliore gestione dei rifiuti e su normative non vincolanti – con una grande capacità di lobbing, che ha “tenuto in ostaggio” i negoziati.
«L’ostruzionismo da parte di quei pochi che vogliono bloccare il progresso ad ogni passo è una ricetta per l’inerzia e il possibile disastro», ha commentato la presidente del Centro per il diritto internazionale dell’ambiente (CIEL), Carroll Muffett.
Affermando che 143 lobbisti dei combustibili fossili e dell’industria chimica si erano registrati per partecipare a questo terzo ciclo di negoziati.
«I paesi con profondi interessi petrolchimici hanno ritardato i progressi per tutta la settimana e bloccato la decisione finale su come portare avanti i lavori», fa notare un delegato del WWF.
«I progressi sulla (riduzione della) plastica saranno impossibili se gli Stati membri non affrontano la realtà fondamentale dell’influenza dell’industria in questo processo», ha aggiunto David Azoulay, direttore del Centro per la salute ambientale.
La base delle trattative era una prima bozza di testo – denominata “Draft Zero” – contenente una serie di proposte. Un documento che, invece di essere sfoltito e migliorato, è stato ampliato con 500 nuove mozioni, passando da una trentina di pagine a più di un centinaio.
Cosa che complicherà ulteriormente i successivi passaggi del processo, avviato lo scorso anno dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), che prevede altri due incontri: il prossimo aprile a Ottawa, in Canada, e poi a novembre-dicembre nella Repubblica di Corea.
Dalle Nazioni Unite si cerca comunque di guardare il bicchiere mezzo pieno.
«Questi ultimi 10 giorni hanno rappresentato un significativo passo avanti verso il raggiungimento del nostro obiettivo di sviluppare uno strumento internazionale giuridicamente vincolante per porre fine all’inquinamento da plastica», ha dichiarato a chiusura dei lavori il presidente dimissionario del Comitato negoziale, l’equadoregno Gustavo Adolfo Meza-Cuadra Velasquez.
«Ma ci hanno anche ricordato che resta ancora molto da fare, sia per ridurre le nostre differenze, sia per sviluppare il lavoro tecnico per orientare i nostri negoziati», ha aggiunto.