«Dal 2019, lo Stato islamico ha intensificato le sue operazioni in Asia centrale e in Africa occidentale. In quest’ultima regione, l’espansione del network jihadista è particolarmente allarmante, con il gruppo che sta rapidamente consolidando la sua presenza attraverso i suoi affiliati locali: lo Stato islamico nella provincia dell’Africa occidentale (Iswap) e lo Stato islamico nel grande Sahara (Isgs)».
Questo è l’incipit del nuovo report del Middle East Institute, intitolato The schism of jihadism in the Sahel: how al-Qaeda and the Islamic state are battling for legitimacy (Lo scisma del jihadismo nel Sahel: come al-Qaida e Stato islamico si battono per la legittimità) che esamina la competizione in atto nel Sahel tra i gruppi legati ad al-Qaida e quelli fedeli allo Stato islamico.
Una disamina innovativa che non si limita a considerare le prospettive di espansione jihadista nella regione e le relative implicazioni per gli attori della sicurezza e la popolazione civile. Il report amplia di fatto l’attività di analisi valutando come ogni gruppo islamista si posiziona nei confronti delle comunità locali e stringe rapporti con le popolazioni delle aree rurali, in cui le formazioni armate prevalentemente operano e mietono il maggior numero di proseliti.
Tali gruppi, secondo il più recente Global Terrorism Index (Gti), stanno acquisendo sempre più importanza nell’Africa subsahariana, con una conseguente impennata del terrorismo. Come testimonia il notevole aumento degli attacchi registrato in sei paesi della regione: Burkina Faso, Mozambico, Repubblica democratica del Congo (RdC), Mali, Niger e Camerun.
La ricerca premette che l’Africa occidentale è particolarmente vulnerabile all’estremismo e fornisce terreno fertile per espandersi ai gruppi estremisti. Una combinazione di cattiva governance, debolezza delle istituzioni, corruzione, povertà diffusa e tensioni etniche, rendono la regione del Sahel sempre più suscettibile alla creazione di zone di proliferazione terroristica.
Le suddette condizioni hanno trasformano ampie aree della regione in un campo di battaglia per la feroce contesa tra i due grandi gruppi rivali, Stato islamico e al-Qaida, che cercano di affermare il loro dominio attraverso i loro affiliati regionali.
In particolare, gli ultimi due anni hanno testimoniato un significativo aumento delle tensioni e degli scontri tra il Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), affiliato ad al-Qaida e l’Isgs. Secondo i dati raccolti dal Centro di ricerca sulla localizzazione e gli eventi dei conflitti armati (Acled), dall’inizio del 2020 a oggi i due gruppi si sono scontrati almeno 140 volte, causando gravi perdite a entrambe le fazioni.
La situazione è precipitata alla fine del 2019, quando sono cominciati aspri scontri tra i gruppi fedeli ai due network jihadisti per la supremazia territoriale, dopo che l’insorgenza jihadista nella regione in passato era stata anche caratterizzata da un’inedita cooperazione tra i gruppi qaidisti e quelli affiliati allo Stato islamico.
Secondo l’autrice della ricerca, Lina Raafat, il deterioramento dei rapporti tra il Gsim e l’Isgs può essere attribuito a una serie di fattori, tra cui l’acuirsi delle contrapposizioni ideologiche; la pressione esercitata da parte del nucleo centrale dello Stato islamico sull’Isgs per prevalere sul Gsim, dopo la formale ristrutturazione del gruppo sotto lo scudo dell’Iswap; le tensioni derivanti dalla crescente ambizione di affermazione dell’Isgs nella regione, incluso il controllo delle risorse.
Le lotte intestine hanno prodotto gravi implicazioni non solo per i jihadisti ma anche per le truppe delle missioni antiterrorismo impegnate nella regione, in primis l’operazione Barkhane a guida francese e la Forza congiunta dei paesi del G5 Sahel. Le ripercussioni del conflitto inter-jihadista hanno inevitabilmente interessato anche le popolazioni civili locali, che in alcuni casi per sentirsi più al sicuro hanno preferito avvicinarsi ai gruppi estremisti, che li hanno incoraggiati ad abbracciare le loro ideologie radicali.
Entrambi i gruppi hanno così espanso le loro basi d’appoggio territoriali e hanno cominciato a contendersi la legittimità nel contesto del Sahel, stringendo rapporti con le popolazioni delle aree rurali, dove sono maggiormente attive. Uno scenario dicotomico molto simile a quello che ha caratterizzato altri teatri di conflitto, come la Somalia, con la contrapposizione tra al-Shabaab e la locale branca dello Stato islamico, oppure la Siria, con la contrapposizione tra Tahrir al-Sham e l’Isis, dove le due organizzazioni hanno sfruttato le dinamiche locali per affermare i propri obbiettivi strategici.
Lo studio prende poi in considerazione lo scenario dell’Afghanistan, dove i due gruppi sono stati protagonisti di una strenua rivalità, accentuata dall’accordo di pace tra i talebani e gli Stati Uniti, e il successivo ritiro degli americani dal paese dell’Asia centrale. Qui la Wilayat al-Khorasan si erge come l’avversario dichiarato di al-Qaida e dei talebani, rafforzato dalla propaganda incentrata sul fatto di rappresentare l’unico gruppo intransigente non disposto a negoziare con l’occidente.
Nella sostanza, l’aspra competizione tra lo Stato islamico e al-Qaida nella regione del Sahel, aggravata da vulnerabilità strutturali e sollecitata da fattori preesistenti di violenza, sta costringendo le comunità locali, soprattutto nelle instabili aree di confine, a sostenere l’Isgs o il Gsim per proteggersi dagli attacchi dell’altro gruppo o delle milizie governative.
Uno scenario sempre più compromesso, in cui appare scontato che la contrapposizione inter-jihadista continuerà a influenzare pesantemente le dinamiche e le sorti dell’insorgenza nella regione del Sahel.