È nelle sale Fela, il mio Dio vivente, documentario di Daniele Vicari già presentato alla 18esima Festa del Cinema di Roma.
La sfida era ardua: raccontare l’incontro tra Michele Avantario, videomaker indipendente, e Fela Anikulapo Kuti, incontrastato re dell’Afrobeat, profeta di un utopico socialismo panafricano e di un genere musicale che mescolava con grande visionarietà ritmi vorticosi ed ossessivi alla denuncia della corruzione e violenza del governo nigeriano e dello sfruttamento del continente africano da parte delle multinazionali.
Due figure, quelle di Avantario e Fela Kuti, assolutamente diverse (e incomparabili) che si incrociano quando nel 1988 il videomaker italiano inizia a frequentare la Kalakuta Republic con l’ostinato desiderio di realizzare un film sul Black President. Un desiderio che negli anni si trasformerà in un culto anche spirituale per il “suo Dio vivente”.
Nel documentario appare anche un terzo personaggio, Renata, la moglie di Michele, che altrettanto ostinatamente ha voluto produrre il documentario per rendere omaggio ad una una storia che contiene effettivamente elementi affascinanti: l’ossessione per un film mai realizzato, la ricerca di un film perduto (numerose bobine di pellicola in 35mm dirette da un altro cineasta e poi abbandonate in un deposito in Ghana), l’insofferenza di un ragazzo che per sfuggire alla dimensione provinciale italiana cerca una via d’uscita in una continua sperimentazione che dal video passa attraverso gli stupefacenti, Lagos, il sesso, la musica africana, il fascino per la dimensione collettiva della comunità di Kalakuta, fino ad approdare alla spiritualità yoruba.
Tra la fine degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta Avantario gira moltissimo materiale su Fela, spaziando dalla quotidianità nella Kalakuta Republic alle impressionanti immagini del funerale dell’artista, che il 2 Agosto 1997 richiamò più di 2 milioni di persone da tutto il mondo.
Operazione non riuscita
Ma al di là dell’innegabile piacere nel vedere ed ascoltare Fela il racconto di Vicari, risulta didascalico e pasticciato. Claudio Santamaria dà voce ai pensieri di Avantario, raccolti in un diario personale ed ereditati dalla moglie, trasportandoci in un mare di immagini nel vano tentativo di creare un doppio racconto. La realtà giovanile degli Anni Settanta e Ottanta tra Roma, Milano, Londra e New York si intreccia ad un racconto di Lagos infarcito di cliché: donne bellissime, profumi, colori, grandi cannoni e un pizzico di misticismo. Nessuna ricostruzione del contesto della Nigeria di quegli anni, né del pensiero di Fela che viene frullato tra aneddoti, stralci di concerti e brevi frammenti di interviste.
Rimangono la curiosità su quale film avrebbe realizzato Avantario e soprattutto la voglia di vedere Black President il misterioso biopic le cui bobine sono state salvate da uno dei più violenti attacchi alla Kalakuta Republic, quello del 1977. Durante il raid, la madre di Fela, Funmilayo Ransome-Kuti, attivista femminista fin dagli anni Quaranta, venne scaraventata giù dalla finestra e le coriste e ballerine picchiate e violentate dall’esercito.