Lo ha detto Jean-Pierre Lacroix – sottosegretario generale dell’Onu responsabile per le operazioni di pace – al Consiglio di sicurezza nella seduta di martedì 5 marzo. E ha aggiunto che le conseguenze potrebbero essere disastrose. A suo parere, una miriade di fattori potrebbero avere conseguenze negative sull’appuntamento elettorale programmato in Sud Sudan per la fine di quest’anno. Tra gli altri: l’intensificarsi dei conflitti per il controllo delle risorse, l’economia che non decolla, il grave tasso di disoccupazione soprattutto tra i giovani, l’aumento di scontri tra comunità, il numeroso flusso di rifugiati in fuga dal conflitto sudanese e di ritornati sud sudanesi dai campi profughi dei paesi vicini, la competizione poco trasparente tra le elitè politiche. Perciò, secondo Lacroix, se si arrivasse alle elezioni, queste si svolgerebbero in un’atmosfera di grande tensione, in uno spazio civico e politico estremamente ristretto.
Inoltre, perché possano svolgersi pacificamente, dovrebbe esserci la confluenza della volontà delle forze politiche coinvolte e dovrebbero essere credibili e unificanti per la popolazione interessata.
Ma, nel caso delle elezioni programmate per dicembre in Sud Sudan, così non sembra essere.
La roadmap preparatoria
All’inizio del mese Nathaniel Oyet Pierino – vicepresidente della maggior forza di opposizione, il Sudan People’s Liberation Movement in Opposition (SPLM-IO), e vicepresidente del parlamento di questo periodo transitorio – ha tracciato un percorso preparatorio, basato su una valutazione della realtà del paese, molto più lungo di quello che prevederebbe il voto alla fine dell’anno.
Durante una conferenza stampa a Juba, capitale del Sud Sudan, ha presentato un calendario della durata di 24 mesi, necessari per raggiungere i requisiti minimi indispensabili «per tenere elezioni pacifiche, trasparenti, democratiche, libere, imparziali e credibili».
Tra le numerose scadenze, ha dichiarato che due anni servirebbero per scrivere la costituzione definitiva; otto mesi per completare gli accordi che riguardano le istituzioni che devono garantire la sicurezza (l’esercito, i servizi di intelligence e quelli di polizia); 16 mesi per svolgere un censimento accurato; 8 mesi per la riforma del sistema giudiziario. Tutti provvedimenti che, nell’accordo di pace firmato nell’agosto del 2018, erano considerati concordemente come passi da realizzare necessariamente prima delle elezioni. Perció, ha concluso Nathaniel Oyet, «non ci impegneremo in nessun processo che mini l’accordo di pace. Ci rifiutiamo di partecipare ad elezioni che riteniamo non credibili, mancanti di libertá e imparzialitá».
L’SPLM-IO, dunque, boicotterà le elezioni fortemente volute dal partito del presidente Salva Kiir, l’SPLM-IG (IG sta per in government) anche, e forse soprattutto, per legittimare il proprio potere, da troppo tempo provvisorio e in transizione.
Durante la stessa conferenza stampa Oyet ha elencato anche diversi nodi che minano la fiducia tra le due parti. Al primo posto il controllo delle risorse petrolifere. L’accordo di pace assegna il ministro incaricato all’opposizione, ma un ordine presidenziale ne ha fortemente limitato i poteri passandoli al direttore generale dell’autorità per il petrolio, in forza alla maggioranza, in flagrante violazione dell’accordo di pace. E non è che un esempio. Un altro è il dimissionamento unilaterale della ministra della Difesa Angelina Teny, autorevole esponente dell’opposizione e moglie del suo capo, Riack Machar; La crisi é rientrata mesi dopo con la sua nomina a ministra dell’Interno.
Questi ripetuti atti di contrapposizione politica, e tra le elitè del paese, in violazione di quanto ratificato nell’accordo di pace, contribuiscono non poco alla percezione di un clima poco favorevole allo svolgimento di elezioni pacifiche e credibili.
Popolazione divisa fra aspirazioni e timori
I sud sudanesi hanno espresso le loro aspirazioni e i loro timori sulle previste elezioni attraverso una ricerca condotta dal CEPO (Community Empowerment for Progress Organization), un’organizzazione sud sudanese diventata sempre più autorevole durante gli anni della guerra civile e del periodo transitorio. Nel documento finale si legge: «Il dilemma politico sul tenere o non le elezioni nel dicembre 2024 sta nutrendo timori di ritorno alla violenza tra i firmatari dell’accordo di pace rivisto (formula usata per l’accordo di pace firmato nel 2018, alla fine della seconda fase della guerra civile, ndr). La maggioranza dei sud sudanesi sarebbe molto interessata a partecipare, ma vorrebbe elezioni democratiche, libere e soprattutto pacifiche. L’atmosfera, invece, sta peggiorando, come mostra l’aumento di scontri armati tra comunità dovuti a motivazioni politiche e la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine. Un ultimo esempio é dei giorni scorsi: voci, per fortuna sembra infondate, di scontri tra diversi gruppi dell’esercito hanno scatenato il panico a Yambio, capoluogo dell’Equatoria occidentale.
Perciò il rapporto di CEPO raccomanda: «È essenziale un’azione urgente: organizzare un dialogo politico inclusivo entro marzo 2024 per prendere importanti decisioni politiche e raggiungere il consenso riguardo al destino delle prossime elezioni». Per ora, peró, non se ne sente parlare.