Un rapporto della Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani in Sud Sudan, diffuso al termine della 52esima sessione del Consiglio per i diritti umani (Ohchr), descrive in dettaglio la responsabilità delle élite militari e politiche al potere in “gravi crimini” commessi contro i civili. Indicando i nomi di alti funzionari implicati.
Tra questi il governatore dello Stato di Unity, Joseph Monytuil, e il tenente generale dell’esercito (South Sudan People’s Defense Forces) Thoi Chany Reat, indicati come i responsabili dell’omicidio extragiudiziale di quattro ufficiali ribelli nella contea di Mayom nell’agosto 2022. Uccisioni autorizzate dallo Stato.
Il rapporto nomina anche il commissario della contea di Koch, Gordon Koang, accusato di aver condotto orribili attacchi contro i civili nella vicina contea di Leer tra febbraio e aprile 2022. Meritevoli di ulteriori controlli o indagini per il loro ruolo in vari abusi, anche funzionari di alto rango negli stati di Warrap, Alto Nilo, Jonglei ed Equatoria.
Il gruppo di esperti che ha presentato ieri i risultati della sua inchiesta – compiuta tra febbraio e agosto 2022 in sei Stati sudsudanesi -, chiede che vengano aperte indagini e procedimenti penali nei confronti di questi funzionari, affermando che nessuno è stato mai chiamato a rispondere per crimini commessi.
La Commissione parla di esecuzioni di prigionieri, stupri, omicidi di massa di civili, casi di schiavitù sessuale e popolazione forzata a spostamenti. Ma anche di una sistematica repressione contro giornalisti o cittadini organizzati politicamente. E fa notare che “il personale governativo e militare implicato in questi gravi crimini rimane tutt’ora in carica”.
“Abbiamo rilevato che mentre il governo del Sud Sudan ha annunciato comitati investigativi speciali in diverse occasioni, nessuno ha portato ad alcuna forma di responsabilità”, afferma la Commissione in una nota.
“Per diversi anni, i nostri studi hanno costantemente dimostrato che l’impunità per crimini gravi è un motore centrale della violenza e della miseria affrontati dai civili in Sud Sudan”, ha aggiunto il presidente della Commissione, Yasmin Sooka.
Insomma, un’ennesima conferma di come poco o nulla sia cambiato per la popolazione dopo la firma della pace che nel 2018 ha posto fine – almeno sulla carta – a cinque anni di guerra civile. E di come il persistente stato di impunità giustifichi il perpetrarsi di tali crimini.
Le precedenti conclusioni preliminari del gruppo, presentate il 7 marzo, erano state respinte dalle autorità di Juba che avevano accusato la Commissione Onu di interferenze negli affari nazionali.
Intanto, proprio ieri, nel salutare il rinnovo per un altro anno del mandato della Commissione, il direttore regionale di Amnesty International per l’Africa orientale e meridionale, Tigere Chagutah, ha denunciato e deplorato “gli sforzi di alcuni stati, compreso il governo del Sud Sudan, per bloccare il rinnovo di questo meccanismo vitale”.
“In Sud Sudan, le persone vivono ancora in mezzo a conflitti armati e affrontano regolarmente attacchi, uccisioni illegali, sfollamenti e stupri. Molte persone soffrono anche di un accesso limitato all’acqua, al cibo e alle cure mediche di base, in parte a causa degli alti livelli di insicurezza. Le preoccupazioni sui diritti umani che hanno reso necessaria la creazione della Commissione nel 2016 continuano a persistere e il governo ha fatto troppo poco per giustificare la revoca del controllo da parte del Consiglio Onu per i diritti umani”, ha aggiunto Chagutah.