Sud Sudan: gravi abusi diffusi e impuniti sui civili - Nigrizia
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Il rapporto della Commissione dell’Onu per i diritti umani nel paese
Sud Sudan: gravi abusi diffusi e impuniti sui civili
L’impunità è il maggiore motore della crisi umanitaria e delle violazioni dei diritti umani che continuano a causare immensi traumi e sofferenze ai civili. Una situazione che mette in pericolo la già lenta e difficile stabilizzazione del paese
09 Marzo 2023
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 5 minuti
Un ragazzo sfollato riposa dopo aver cercato rifugio nel complesso della Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (Unmiss), a Juba, Sud Sudan, il 19 dicembre 2013 (Credit: AP)

La Commissione dell’Onu per i diritti umani in Sud Sudan nel rapporto presentato alla 52esima sessione del Consiglio per i diritti umani dell’Onu (Ohchr) che si sta svolgendo in questi giorni a Ginevra (27 febbraio – 4 aprile), torna a denunciare le responsabilità politiche delle gravi violenze sui civili.

La commissione fu istituita dal Consiglio il 23 marzo 2016, con la risoluzione 31/20. Aveva il compito di indagare per un anno, ma a causa della gravissima situazione rilevata, il suo mandato è stato esteso annualmente fino all’anno scorso.

Gli stati membri, le organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani, quali Amnesty International e Human Rights Watch, e molti gruppi della società civile sud sudanesi hanno già chiesto che l’incarico venga rinnovato per i prossimi due anni, dal momento che le violazioni e gli abusi sembrano essere sempre più diffusi in tutto il paese.

Il rapporto, reso pubblico lo scorso 7 marzo, sottolinea che “l’impunità è il maggiore motore della crisi umanitaria e delle violazioni dei diritti umani che continuano a causare immensi traumi e sofferenze ai civili in Sud Sudan”. Questa situazione mette in pericolo la stabilizzazione del paese, ha dichiarato Barney Afako, uno dei componenti della commissione.

«Ѐ difficile immaginare la pace, quando attori istituzionali continuano ad essere coinvolti in clamorose violazioni dei diritti umani». E ha continuato dicendo che «l’impegno del governo per la pace e il rispetto dei diritti umani dovrebbe essere dimostrato prima di tutto con il sollevamento dagli incarichi e con il processo dei funzionari responsabili».

Andrew Clapham, un altro dei componenti della commissione, ha denunciato l’inerzia dei comitati speciali, insediati per indagare su numerosi casi di abuso. Alla commissione risulta infatti che non sia stato pubblicato nessun rapporto e che nessuno sia stato portato davanti ad un tribunale.

«Gli attacchi contro i civili continuano proprio perché chi se ne macchia confida di rimanere impunito». Ma, ha concluso, la commissione sta conservando le prove acquisite in modo che si possa procedere in futuro ad accertare le responsabilità e a punire i colpevoli.

Il rapporto è basato su ricerche condotte nel corso del 2022 in Sud Sudan e nei paesi della regione, dove hanno trovato rifugio, nel corso degli anni, centinaia di migliaia di sud sudanesi. Molti sono arrivati negli ultimi mesi, nonostante nel paese sia in vigore un accordo di pace firmato nel 2018 dal governo e dalla maggior parte dei movimenti di opposizione armata che vi operano.

La commissione ha trovato le prove di diffusi attacchi contro i civili, di violenze sessuali sistematiche contro donne e ragazze, della presenza di bambini soldato nelle forze combattenti e di esecuzioni extragiudiziali supportate da istituzioni statali.

Nonostante ufficialmente la guerra civile sia finita da anni, il numero delle vittime continua ad essere altissimo.

Nel corso del 2022 solamente, la divisione per la protezione dei diritti umani dell’Onu ha potuto accertare 714 episodi di violenza di cui sono rimasti vittime 3.469 civili. 1.600 circa sono stati uccisi, 988 feriti e 501 rapiti. I sopravvissuti hanno detto agli intervistatori di aver perso la fiducia nella propria leadership e la speranza in un futuro di pace.

Il rapporto ha potuto documentare diversi episodi, alcuni particolarmente efferati.

Uno riguarda la contea di Leer, nello stato di Unity, zona di origine di Riak Machar, capo del maggior movimento di opposizione, l’Splm-Io, ora vicepresidente del governo di transizione previsto dall’accordo di pace. Per questo sarebbe percepita come zona ostile dall’esercito governativo.

L’anno scorso funzionari governativi avrebbero indirizzato miliziani di gruppi armati percepiti come fedeli al governo ad intervenire. Le operazioni erano condotte contro la popolazione civile e hanno provocato numerosi morti, stupri generalizzati, razzie sistematiche e spostamento forzato di migliaia di persone.

Sempre nello stato di Unity, dice la commissione, si sono verificati diversi episodi di giustizia sommaria. Un video diffuso attraverso i social media mostra l’esecuzione di tre uomini ad opera di un gruppo di soldati dell’esercito governativo. In un altro, pure diffuso attraverso i social media, quattro uomini vengono rinchiusi dai soldati in una capanna cui poi appiccano il fuoco.

Il documento presentato a Ginevra è una sequela di episodi raccapriccianti di cui le vittime sono molto spesso donne e bambini. Questi ultimi sono reclutati forzatamente o rapiti da tutti i contendenti, esercito governativo e maggiori forze di opposizione inclusi. Questo avviene nonostante gli impegni pubblici, numerose volte reiterati, di mettere fine alla ignobile pratica di servirsi di soldati minorenni.

I ragazzini che servono nelle fila dell’esercito e dei movimenti armati vengono usati nelle retrovie per compiti logisitici, ma molto spesso anche in ruoli pericolosi come lo spionaggio e le stesse azioni di combattimento. Non sono loro risparmiate neppure diverse forme di abuso e di violazioni dei diritti umani. Per esempio vengono minacciati di durissime punizioni e anche della morte, loro o di loro familiari, se resistono al reclutamento o tentano di scappare.

Il paese è ancora una volta ad un punto di snodo, ha detto Volker Türk, Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, parlando al Consiglio, a Ginevra. Ѐ ancora possibile che il governo del Sud Sudan, sostenuto dalla comunità internazionale, «scelga la strada del perdono e di una pace sostenibile. Ma è cruciale rafforzare l’accountability e lo spazio civico».

Per ora, però, non si vedono segnali positivi. Le notizie che arrivano quotidianamente da Juba riguardano spesso l’arresto di attivisti della società civile e di giornalisti, oltre al sollevamento dall’incarico per decreto di ministri considerati scomodi dal partito del presidente, Salva Kiir.

Tra gli altri, è stata dimissionata nei giorni scorsi la ministra della difesa, Angelina Teny, nominata dal Splm-Io, il maggior movimento di opposizione, e moglie di Riek Machar, mettendo così in gioco gli equilibri politici faticosamente raggiunti e sottofirmati nell’accordo di pace del 2018.

Un fatto che potrebbe portare all’aumento delle tensioni esistenti e rallentare il processo, già lentissimo, di stabilizzazione e normalizzazione del paese. 

 

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