Dal Sud Sudan arriva l’ennesima tragica notizia. Suor Mary Abbud e suor Regina Roba, della congregazione delle sorelle del Sacro Cuore, sono rimaste uccise in un’imboscata sulla strada che collega la capitale sud sudanese Juba a Nimule, sul confine con l’Uganda.
Le religiose, insieme ad alcune consorelle e parecchi fedeli, erano di ritorno a Juba dopo aver partecipato alla celebrazione del centenario dell’istituzione della parrocchia di Loa, nella diocesi di Torit, dove la chiesa è intitolata all’Assunta e la congregazione ha una missione.
Viaggiavano su un autobus che è stato attaccato da uomini armati non ancora identificati. Suor Mary, suor Regina e altre tre persone sono rimaste uccise e diverse altre sono rimaste ferite. Lo fa sapere con un comunicato ufficiale il segretario generale dell’arcidiocesi di Juba, padre Samuel Abe. L’episodio è stato confermato dalle autorità sudsudanesi competenti.
L’asse Juba-Nimule, terreno di caccia dei gruppi armati
Non è la prima volta che sulla strada che collega Juba a Nimule succedono gravissimi incidenti con diverse vittime e conseguenze pesanti per la popolazione dello stato dell’Equatoria centrale, in particolare per gli abitanti della capitale sudsudanese, Juba. Sulla strada – l’unica asfaltata del Sud Sudan, paragonabile ad una superstrada – passano gran parte delle merci, comprese le derrate alimentari, che riforniscono i mercati della capitale, i più importanti del paese.
In Sud Sudan la produzione anche degli alimenti di base è scarsa, del tutto insufficiente a soddisfare i bisogni della popolazione. Le imboscate ai convogli di camion provenienti da Kampala, la capitale ugandese, e di Tir carichi di container che arrivano dal porto kenyano di Mombasa sono diventate così frequenti e violente che lo scorso aprile i camionisti sono scesi in sciopero, bloccando gli automezzi alla dogana di Elegu, prima di passare il confine con il Sud Sudan a Nimule.
Chiedevano una scorta armata dopo che una decina di colleghi, ugandesi e kenyani, erano stati uccisi, la merce trasportata rubata e i camion incendiati in diversi incidenti avvenuti nei giorni precedenti. Ma evidentemente percorrere la strada Juba-Nimule continua ad essere molto pericoloso.
La camionabile passa in alcune delle zone più instabili del Sud Sudan meridionale. Fin dall’inizio della guerra civile è stata usata per lo spostamento delle truppe nella regione. Anche i soldati e le unità corazzate dell’esercito ugandese, corsi in aiuto al governo del presidente Salva Kiir allo scoppio della guerra civile nel dicembre del 2013, sono passati sulla strada di Nimule.
Contemporaneamente, nella zona si organizzavano gruppi armati dagli orientamenti e dagli scopi diversi che potevano finanziarsi proprio anche grazie alle imboscate ai convogli commerciali che transitavano sulla camionabile e potevano trovare rifugio in un vastissimo territorio poco abitato, molto fertile e ricoperto di una fitta boscaglia.
Tra milizie e bande armate
L’instabilità è cresciuta progressivamente anche per i conflitti tra i militari dell’esercito governativo e le comunità locali. I militari, in maggioranza allevatori di etnia denka, di stanza nella zona a causa della guerra civile, vi avevano portato anche le loro mandrie, formate da decine di migliaia di bovini che pascolavano nelle terre coltivate degli agricoltori bari, l’etnia autoctona. Solo recentemente il governo ha ordinato ai denka di rientrare nelle loro aree di origine con il bestiame. Ma intanto nella zona era cresciuta una forte ribellione.
Ora, oltre a gruppi di criminali comuni, vi operano anche le unità del National Salvation Front (Nas), il fronte di opposizione armata dei bari, guidato dal generale Thomas Cirillo Swaka, ex vicecomandante dell’esercito governativo, responsabile per la logistica, dunque in una posizione chiave. Il Nas è probabilmente il più importante gruppo di opposizione armata del paese che non ha mai firmato gli accordi di pace.
Nella zona si trovano inoltre parte degli uomini del più importante movimento di opposizione sudsudanese, l’Splm/a-io (Splm/a-io – “a” sta per esercito e “io” sta per in opposizione, ndr), comandato dall’attuale vicepresidente Riek Machar, che, avendo firmato gli accordi di pace, fa parte del governo di transizione di unità nazionale. I gruppi del Splm/a-io che operano nelle regione dell’Equatoria si scontrano spesso con i miliziani del Nas e questo certamente non facilita la sicurezza nell’area.
Ora la situazione potrebbe essersi aggravata con la spaccatura del Splm/a-io. Il 4 agosto il capo di stato maggiore, general Simon Gatwech Dual, e Johnson Olony, un potente signore della guerra che comanda una delle unità del movimento, hanno destituito Machar. L’atto è stato condannato dal comitato centrale e dagli altri leader militari dell’Splm/a-io ma la situazione non è ancora chiara.
I due gruppi, quello fedele a Machar e quello di chi l’ha deposto, si sono scontrati ripetutamente negli ultimi giorni tanto che l’Igad, l’organizzazione regionale attorno al cui tavolo sono stati condotti i negoziati per la pace, ha convocato una riunione d’urgenza per chiedere la ricomposizione della frattura e la cessazione dei combattimenti.
Ma gli appelli sarebbero caduti nel vuoto, come d’altra parte è successo altre volte per altri spinosi problemi emersi nel paese. Molti ritengono che la spaccatura del Splm/a-io faccia il gioco di chi non ha mai creduto ad una pace negoziata e intende farla collassare. Il timore di un ritorno alla guerra civile è forte, e nelle ultime settimane viene ventilato spesso dalle organizzazioni internazionali oltre che dai politici e dagli attivisti sudsudanesi e dei paesi della regione.
Proliferazione di armi e corruzione
Sta di fatto che, a quasi tre anni dalla firma degli accordi, l’instabilità nel paese è ancora grande, anzi in forte crescita nell’ultimo periodo.
L’agguato al convoglio dei fedeli di ritorno dalla celebrazione del centenario di Loa si colloca in questo contesto. Quello di un paese dove il controllo del territorio non è più esercitato dal governo ma da gruppi armati diversi in lotta fra di loro, tra cui si inseriscono impunemente bande di criminali comuni.
La situazione è aggravata dalla diffusione delle armi, dalla profondissima crisi economica, dal malgoverno e dalla corruzione dei governanti. Senza una pace effettiva, il Sud Sudan continuerà purtroppo ad essere un paese pericoloso, tra i più pericolosi al mondo.