Difficile, o forse possibile solo per occhi davvero contemplativi, scorgere nel Sud Sudan di oggi il seme che germoglia e cresce di cui parla il vangelo di oggi (Mc 4,26-34). A quasi dieci anni dall’indipendenza, il paese è al collasso economico, sanitario e sociale, martoriato da continui attacchi e razzie per il controllo di bestiame, risorse del sottosuolo e terre. I contenziosi tra etnie e clan si risolvono spesso con la legge delle armi, metodo preso a modello di gestione del paese anche da parte delle autorità, evidentemente più a loro agio con i kalashnikov che non con programmi di governo. I frutti dell’accordo di pace del settembre 2018 dovevano, sulla carta, mettere fine ai terribili scontri che hanno fatto ripiombare il paese nella guerra civile dal 2013. Qualcosa, e in modo parziale, si è cominciato a vedere soltanto un anno dopo ma in alcune aree il cessate il fuoco non è mai iniziato e gli scontri intercomunitari, le razzie e le vendette tra clan sono riprese negli stati di Jonglei, Bahr el Ghazal, Lakes e Equatoria.
“In diverse aree del paese ci sono moltissimi episodi di violenza locale – racconta a Nigrizia suor Elena Balatti, missionaria comboniana a Malakal – la maggior parte dei quali resta per lo più sconosciuta mentre solo alcuni più eclatanti finiscono sui racconti in rete”. Tra questi la tragedia di lunedì scorso, nella contea di Yirol West, nello stato dei Laghi, quando un convoglio del Cuamm, Medici con l’Africa, è stato attaccato provocando la morte di due giovani sudsudanesi, Moses Maker e Abraham Galung, che monitoravano le attività di intervento sulla nutrizione in un paese dove l’insicurezza alimentare è di casa. Non risparmiavano le loro energie per raggiungere i dispensari medici più lontani e di difficile accesso.
Alessandra Anafi, coordinatrice del Cuamm Sud Sudan racconta al microfono di Nigrizia: “da inizio febbraio, nella zona di Yirol, ci sono stati scontri tra due diversi clan legati al controllo delle mucche e tra loro la vendetta regna sovrana. C’erano stati scontri anche lo scorso fine settimana e pensavamo di annullare il viaggio. Poi, vista la situazione di emergenza alimentare, ci siamo fatti coraggio e abbiamo deciso di partire con un convoglio composto da due macchine del Cuamm e una della polizia. Comunque non dovevamo sorpassare la zona dove di solito avvengono i conflitti. L’obiettivo era la distribuzione di Clampinat, il cibo per i bambini colpiti da malnutrizione severa ma anche quello di valutare il lavoro svolto in alcune strutture e predisporre le scorte di supplementi nutrizionali prima della stagione delle piogge”.
Nel viaggio di ritorno, l’agguato: alcuni uomini sono usciti dai cespugli al lato della strada e hanno sparato alla macchina colpendo Moses e Abraham. La loro macchina è uscita di strada e gli uomini armati hanno tentato di colpire la seconda ma la polizia ha aperto il fuoco e sono fuggiti.
“L’intento sembra fosse quello di uccidere – rivela un’altra fonte sul posto – perché se avessero voluto rubare avrebbero bloccato la strada. Si tratta più facilmente di vendetta perché la tensione è altissima e gli aggressori hanno visto veicoli provenienti da Rumbek sconfinare nel territorio di Yirol”. Il conflitto si sta inasprendo sempre più e le vendette incrociate mettono in ginocchio intere famiglie e clan mentre la violenza sembra non avere fine. L’insicurezza economica del paese, gli stipendi ridotti e sempre in ritardo di militari, personale sanitario e insegnanti mettono tante persone nelle condizioni di rubare per tirare avanti e così la criminalità cresce.
Dentro questo immenso caos il seme che germoglia e cresce in Sud Sudan sono loro: Moses e Abraham, dai nomi eloquenti e scomodi. Testimoni sudsudanesi della lotta per la vita e segni di resurrezione di un popolo che, nonostante tutto, vuole voltare pagina dentro una terra insanguinata da troppi anni e segnata sempre più da una cultura di violenza e di morte. Li ricorda così don Dante Carraro, direttore del Cuamm: “Erano al servizio della loro gente, con passione, spirito di sacrificio e dedizione”.
Moses Maker, 33 anni, infermiere e nutrizionista, era incaricato di organizzare e supervisionare tutte le attività relative alla prevenzione e al trattamento della malnutrizione acuta. Sposato con cinque figli, lavorava con il Cuamm da gennaio 2020.
Abraham Gulung, 32 anni, autista, accompagnava le visite di supervisione alle strutture sanitarie periferiche e la distribuzione di farmaci e supplementi nutrizionali. Figlio unico, sposato con quattro figli, lavorava con il Cuamm dal febbraio 2020.
Li ricordiamo con le parole del loro amico e vicino di casa Jacek Pomykacz, missionario comboniano a Yirol, che racconta anche il clima preoccupante che si sta creando nella zona:
Ai testimoni Moses e Abraham, alle loro famiglie e a tutto il personale del Cuamm la sincera solidarietà, stima e amicizia di Nigrizia.