Nelle ultime settimane dal Sud Sudan sono arrivate voci sempre più frequenti di problemi nella leadership del paese e di tensioni nelle forze di sicurezza.
Le ultime riguardano la salute del presidente Salva Kiir. Secondo indiscrezioni insistenti, Kiir avrebbe urgente bisogno di cure mediche che potrebbero tenerlo lontano dal paese per diversi mesi. Sono voci che circolano a Juba e che si arricchiscono di particolari passando di bocca in bocca.
Sarebbe addirittura pronto il nome di chi dovrebbe sostituirlo durante la sua assenza. Il presidente avrebbe indicato infatti un suo fedelissimo, Benjamin Bol Mel, che un tempo era stato suo segretario privato e sembra anche suo consigliere finanziario.
Ora Benjamin Bol Mel è un importante, e chiacchierato, uomo d’affari. Presidente di una impresa edile, la ABMC, che ha avuto contratti per decine di milioni di dollari dal governo sudsudanese. La compagnia, cui sarebbero legati diversi politici sudsudanesi – nonostante il divieto costituzionale per chi ha incarichi di governo di avere altre fonti di reddito – è tra quelle sanzionate dal dipartimento del Tesoro americano per corruzione.
Tensioni e malumori
Inutile dire che, se una tale nomina venisse alla fine confermata, avverrebbe al di fuori delle procedure stabilite dalla Costituzione per simili circostanze.
Secondo diversi analisti, avrebbe già suscitato non poche tensioni nella leadership e nel mondo politico di un paese decisamente instabile, che si regge sul fragilissimo equilibrio di un governo di unità nazionale impegnato in una delicata e complicata fase di transizione che si sta prolungando ben oltre quanto previsto dagli accordi di pace vigenti.
Tanto che diversi osservatori ormai si chiedono se ci sia una reale volontà politica di chiudere la crisi che si è aperta con la guerra civile, iniziata nel dicembre del 2013, poco più di due anni dopo l’indipendenza, raggiunta nel luglio del 2011.
La notizia non ha avuto, per ora, nessuna conferma ma, significativamente, è stata rilanciata da una pagina Facebook di sostenitori del leader dell’opposizione Riek Machar, che è anche il primo vicepresidente del paese.
Preoccupazioni incrociate
A Juba, la capitale del Sud Sudan, si dice che i problemi di salute di Kiir suscitano serie preoccupazioni incrociate. Sembra che il presidente stesso tema che lasciare il paese significhi perdere la presa sul potere che ha avuto finora. Il paese invece teme che un eventuale vuoto di potere possa trasformare l’instabilità generalizzata in un conflitto conclamato.
Vedremo nei prossimi giorni se tali voci si riveleranno vere o false. Ma è sicuramente indicativo il momento in cui hanno cominciato a circolare con insistenza, uscendo dai ristretti circoli governativi per passare a quelli dei bene informati.
Nelle scorse settimane, infatti, preoccupazioni per il paese sono state motivate anche da voci ricorrenti di tensioni nelle forze di sicurezza, che, tradotto dal linguaggio “diplomatico”, significa sospetti sulla tenuta delle istituzioni, se non veri e propri timori per un possibile colpo di stato.
Spodestato il capo dell’intelligence
Il primo vero e proprio allarme è suonato all’inizio di ottobre, con la rimozione dall’incarico del generale Akol Koor Kuc, potentissimo capo dei servizi di spionaggio (National Security Services – NSS), in carica fin dal giorno dell’indipendenza.
Per di più, il generale è originario dello stato di Warrap, come il presidente stesso, di cui sarebbe anche parente, e dunque era stato percepito come uno tra i suoi fedelissimi, almeno fino a quando, già alcuni anni fa, era stato sospettato di fomentare idee di cambiamento nella leadership. Il suo siluramento aveva comunque destato scalpore.
Nei giorni successivi Akol Koor Kuc era stato nominato proprio governatore di Warrap, dove negli ultimi mesi si erano verificati diversi gravi episodi di violenza. Ma la nomina era stata revocata meno di una settimana dopo e il generale era sato messo agli arresti domiciliari presso la sua residenza nel centro di Juba.
Una ricostruzione di Radio Dabanga, emittente locale di solito molto ben informata, suggerisce che i provvedimenti potrebbero essere stati motivati dalla popolarità del generale, accolto da una folla festante all’aeroporto di Juba, al termine di un suo viaggio all’estero.
Fuoco incrociato
Alcune settimane dopo, il 21 novembre, la residenza di Akol Koor Kuc, nel quartiere di Thongpiny, nel cuore di Juba, è diventata l’epicentro di un gravissimo incidente: una sparatoria durata alcune ore (dalle 7 alle 11 di sera), in cui 4 persone, tra cui 2 civili, sono rimaste uccise.
Sembra che la prolungata sparatoria, che ha gettato nel terrore la cittadinanza, sia stata originata dal tentativo di arrestare il generale e trasferirlo nel carcere di Bilpalm, nel quartier generale delle forze di sicurezza. I militari che erano andati a prelevarlo si erano scontrati con la sua guardia del corpo.
L’incidente, derubricato come un equivoco dal portavoce dell’esercito, generale maggiore Lul Ruai Koang, sarebbe terminato con il trasferimento di Akol Koor Kuc in un’altra sua residenza a Juba, nel quartiere più periferico di Jebel, dove non sarebbe più agli arresti domiciliari. Segno che aveva ancora diverse buone carte da giocare nella sua partita con il presidente Kiir.
Dopo l’incidente, le voci di tensioni nelle forze di sicurezza si sono fatte più insistenti e sempre decisamente negate dal portavoce dell’esercito. Ma i sospetti, le dicerie, i timori sono troppo diffusi e ricorrenti per essere messi a tacere da smentite istituzionali e dovute.
Se davvero Salva Kiir dovesse allontanarsi dal Sud Sudan in una situazione così compromessa, sarebbe difficile scommettere sulla tenuta della già fragilissima pace del paese.