Sud Sudan: il settore petrolifero in profonda crisi - Nigrizia
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La guerra in Sudan e il blocco degli oleodotti per l’esportazione ha azzerato la produzione di greggio, su cui si basa l’intera economia del paese
Sud Sudan: il settore petrolifero in profonda crisi
Ad aggravare la situazione il ritiro dal paese di Petronas. Chi le subentrerà dovrà probabilmente anche risarcire le comunità danneggiate dal grave inquinamento ambientale provocato dai metodi di estrazione della multinazionale malese
03 Ottobre 2024
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 5 minuti

Il settore petrolifero del Sud Sudan continua a fare notizia e a preoccupare gli analisti. I problemi, infatti, si susseguono e mettono in crisi non solo l’economia ma la gestione complessiva dell’intero paese e dunque la sua stabilità, con un impatto sull’intera regione.

L‘estrazione di petrolio è infatti il settore portante dell’economia sudsudanese. Il greggio costituiva nel 2022 l’87,3% delle esportazioni. Secondo dati relativi al 2020 le entrate originate erano l’80% del PIL e il 98% del budget operativo, cioè quello con cui vengono pagate le spese correnti, compresi gli stipendi dei funzionari statali e dell’esercito.

La situazione non è migliorata negli anni successivi a causa della costante instabilità che ha di fatto impedito lo sviluppo e la differenziazione dell’economia del paese. Sempre nel 2020 si calcolava che il 90% circa dei beni di consumo e dei servizi erano importati dai paesi vicini, e in particolare dall’Uganda, dal Kenya e dal Sudan.

Per di più le rimesse petrolifere sono da tempo in costante discesa, a causa della fluttuazione del prezzo sul mercato internazionale e soprattutto dell’estrazione nel paese. Si calcola che al momento dell’indipendenza si estraessero circa 350mila barili di petrolio in media al giorno; l’anno scorso sono stati 149mila.

Ora la produzione è praticamente azzerata dal momento che l’unica via per l’esportazione passa per il Sudan, ormai da un anno e mezzo dilaniato dalla guerra civile, durante la quale sono state distrutte o gravemente danneggiate numerose infrastrutture.

Tra le altre, uno dei bracci dell’oleodotto che trasporta il greggio sudsudanese al terminal di Port Sudan, da dove veniva esportato. In Cina per la maggior parte, ma in misura minore anche in Italia, che negli ultimi anni era diventato il secondo cliente, e per un valore crescente (24,3 milioni di euro nel 2020; 88,7 nel 2021; 141 nel 2022, ultimo anno per cui si trovano dati).

Le conseguenze sull’economia sudsudanese dell’interruzione delle esportazioni di greggio sono facilmente immaginabili.

Ma altrettanto rilevanti sono quelle sull’economia sudanese, dal momento che le royalty per il ripagamento delle infrastrutture rimaste sul territorio del Sud Sudan dopo l’indipendenza ammontano a 15 dollari a barile (fino a coprire il prezzo pattuito di 3,028 miliardi di dollari) e quelle per l’uso delle infrastrutture sul territorio del Sudan (oleodotto, stazioni di pompaggio, terminal per la commercializzazione) sono pari a 9,10 dollari a barile.

I recenti accordi tra i due paesi  per riprendere al più presto l’estrazione e l’esportazione sono destinati a rimanere parole al vento dal momento che in Sudan una buona parte delle infrastrutture necessarie si trova nel territorio controllato dalle milizie Forze di supporto rapido (RSF) che ovviamente non hanno nessun interesse a renderle operative; sarebbe come mettere a disposizione del nemico una montagna di denaro da investire in armamenti.

Petronas esce di scena

Un ulteriore problema per il Sud Sudan potrebbe essere causato dal ritiro dal paese di Petronas, la multinazionale malese che, insieme alla Sinopec cinese, all’indiana India’s Oil and Natural Gas Corporation Ltd e alla Nilopet, la compagnia nazionale sudsudanese, ha interessi in tre blocchi petroliferi, dove opera secondo il modello della joint operating company (JOC) in 64 campi di estrazione, da cui, nel 2021, sono stati prodotti 153mila barili al giorno, la maggior parte del greggio estratto nel paese.

La decisione è stata resa nota lo scorso 7 agosto con un breve comunicato pubblicato sul sito ufficiale della compagnia, in cui si dice che il provvedimento fa seguito a due anni di disinvestimenti nel settore petrolifero a causa di un’accelerazione nella transizione energetica.

Petronas assicura che sta lavorando ad un passaggio amichevole, che tenga in considerazione anche i diritti dei lavoratori.

La notizia è arrivata contemporaneamente a quella della Savannah Energy, una compagnia privata inglese, che comunicava di rinunciare all’acquisto delle infrastrutture della Petronas in Sud Sudan. Si trattava di un accordo del valore di 1,25 miliardi di dollari cui le due parti stavano lavorando da tempo.

Dallo scorso settembre, però, girava voce che i beni della Petronas sarebbero stati di interesse della presidenza sudsudanese stessa che avrebbe coinvolto un fondo di investimenti americano per mobilizzare le risorse necessarie.

Insomma, un passaggio di consegne che non brilla per trasparenza come spesso succede a Juba, dove la leadership è stata finora attiva nel fare affari sulle risorse del paese più per interessi personali che per quelli dello sviluppo del Sud Sudan.

Danni ambientali e compensazioni

Dell’uscita della Petronas si è occupata nei giorni scorsi anche l’assemblea nazionale (Transitional National Legislative Assembly – TNLA) sudsudanese che ha discusso di un audit ambientale necessario prima della chiusura delle operazioni della multinazionale malese che, per le sue metodologie di estrazione, ha provocato danni ambientali notevoli su un vasto territorio abitato da decine di migliaia di persone.

In particolare, sarebbe stata avvelenata la falda acquifera con conseguenze nefaste sulla salute della popolazione. Se ne è occupata per prima diversi anni fa l’ong tedesca Sign of Hope, che per la sua denuncia ha dovuto chiudere le operazioni nel paese.

Aisha Abdul-Salam, parlamentare di Melut, una zona petrolifera dell’Upper Nile, ha presentato una mozione in cui sottolinea che le comunità danneggiate devono riceve una giusta compensazione dalla Petronas o da chi le subentrerà. 

La mozione è stata rafforzata dalle dichiarazioni di Samuel Lual Deng, membro dell’SPLM e rappresentante di Gogrial Est, rispettivamente partito e contea natale del presidente Salva Kiir. Il parlamentare ha esplicitamente affermato che le compensazioni andranno effettuate anche se sarà la Nilepet, la compagnia governativa del paese, a subentrare a Petronas.

Il problema delle compensazioni delle comunità e degli individui danneggiati dalle operazioni legate alla ricerca e alla estrazione del petrolio si sono poste altre volte in Sud Sudan. Finora le vittime sono state rappresentate da organizzazioni della società civile e non hanno visto riconosciuti i propri diritti.

Ora la questione è stata posta a livello politico. Ma non è detto che il problema venga risolto in modo favorevole ai danneggiati. Potrebbe però suscitare ulteriori tensioni in un paese che proprio non ne avrebbe bisogno.

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