Aumenta la ferocia dei combattimenti e degli attacchi contro i civili in varie zone del paese, in un momento particolarmente delicato anche per le nuove fratture politiche tra il presidente Salva Kiir e il primo vicepresidente Rieck Machar.
L’escalation del conflitto preoccupa l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) che si è detta allarmata dall’intensificarsi della crisi dei rifugiati nel paese, che è già la più grande del continente.
L’Unhcr parla di almeno 37mila persone sfollate nel campo di Malakal, la cui capienza massima è di 12mila, e di almeno 3mila fuggite nel vicino Sudan.
I combattimenti tra gruppi dell’esercito rivali intorno ai villaggi nelle contee di Kodok e Fashoda, nello stato dell’Alto Nilo, si sono estesi di recente a un campo che ospita persone sfollate, per lo più donne, bambini e altre persone fragili.
A denunciarlo è padre Paolino Tipo Deng, missionario comboniano e presidente dell’Iniziativa per la pace e la riconciliazione dell’Alto Nilo, che ha esortato le parti in conflitto a fermarsi e a intavolare trattative di pace. «Chiediamo al presidente, al primo vicepresidente e a tutti i partner di pace di agire immediatamente per fermare i combattimenti e aprire i loro cuori in un dialogo sincero per affrontare le cause profonde di questo conflitto», ha affermato.
Il conflitto armato è scoppiato nel villaggio di Tonga il 15 agosto tra la fazione dell’Esercito popolare di liberazione del Sudan all’opposizione (Spla-Io), guidata dal generale Simon Gatwech Dual, e la milizia Agwelek, guidata dal generale Johnson Olony.
Da allora la violenza si è diffusa nelle parti settentrionali degli stati di Jonglei e Unity, espandendosi alle comunità nuer e shiluk. Attualmente sta avanzando nella contea di Fashoda, nell’Alto Nilo, e sta minacciando la città di Kodok. Più di 4mila i morti accertati.
I civili in fuga – almeno 20mila – sono visibilmente traumatizzati e denunciano uccisioni, feriti, stupri, rapimenti, estorsioni, saccheggi e incendi di proprietà. Molti hanno perso la casa e sono stati separati dalle loro famiglie, fa sapere l’Unhcr.
E per loro nemmeno i sovraffollati campi profughi sono un riparo sicuro, viste le ripetute denunce, protratte da anni, di casi di sfruttamento e abuso sessuale compiuti per lo più da operatori umanitari nel campo per sfollati di Malakal.
Il presidente del Sud Sudan Salva Kiir ha ordinato al capo delle forze di difesa, Santino Deng Wol, di dispiegare le nuove forze unificate dell’esercito nelle aree colpite dal conflitto nello stato dell’Alto Nilo.
Violenze e combattimenti crescenti sono segnalati anche nel Kordofan Occidentale, con centinaia di morti e migliaia di sfollati a causa di tensioni per la terra e i pascoli cominciate all’inizio dell’anno tra comunità misseriya e nuba.
Tensioni e violenze dietro alle quali si celano interessi politici a livello locale, come denunciato solo poche settimane fa dalla Commissione Onu sui diritti umani nel paese.
Da registrare anche il degrado del clima politico nella capitale, dopo che lo scorso ottobre il partito al governo (Splm) aveva annunciato la rimozione di Riek Machar e dell’ex segretario generale del partito, Pagan Amum, dalla sua struttura di leadership. Una decisione respinta fermamente dall’opposizione armata (Splm/a-Io).
Intanto l’8 dicembre scorso Salva Kiir ha incontrato una delegazione della comunità di Sant’Egidio per discutere la ripresa dei colloqui di pace a Roma tra il governo e i gruppi di resistenza armata. Colloqui che erano stati sospesi dal governo poche settimane prima.
Il 7 dicembre, poi, l’Splm ha confermato Kiir come suo candidato per un altro mandato alla presidenza alle elezioni, inizialmente previste a febbraio 2023 e slittate alla fine del 2024. Kiir è stato l’unico presidente del giovane paese dopo l’indipendenza dal Sudan, nel 2011, e la costituzione provvisoria del 2011 non prevede limiti al suo mandato.
Un clima infuocato e di crescente sofferenza per la popolazione attende dunque la visita di papa Francesco nel paese all’inizio di febbraio. (MT)