Sono ancora in corso gli accertamenti sulla «più grave catastrofe ambientale in Sudafrica degli ultimi tempi», come l’ha definita la ministra dell’ambiente Barbara Creecy. L’incidente risale al 12 luglio scorso quando è stato dato alle fiamme l’impianto chimico United Phosphorous Limited (Upl) nelle vicinanze di Durban nel corso di violente proteste e saccheggi innescati dall’incarcerazione dell’ex presidente Jacob Zuma, condannato a 15 mesi di carcere per aver snobbato un’inchiesta sulla corruzione durante il suo mandato.
Ci sono voluti dieci giorni prima che i pompieri riuscissero a spegnere l’incendio che ha portato alla fuoriuscita di migliaia di tonnellate di sostanze chimiche usate per produrre erbicidi, pesticidi e fungicidi. Il liquame tossico è fluito nell’Ohlanga River che sfocia nell’oceano causando enormi danni a fauna e flora marina.
A seguito dell’incidente, l’amministrazione comunale ha fatto chiudere le spiagge e ha avvertito il pubblico di astenersi dalla pesca, dal nuoto e dal fare surf. «Potrebbero essere necessari diversi anni per rimediare alle conseguenze dell’incendio dell’impianto chimico», ha aggiunto la Creecy commentando i primi risultati di un’indagine sull’incidente. Il mese scorso, però, gli esperti della Upl hanno dichiarato che le spiagge non sono contaminate.
Ancora non sono disponibili i risultati clinici sulla salute dei circa settemila abitanti della baraccopoli di Blackburn, nel raggio di un chilometro dall’Upl, che per quattro giorni è stata avvolta da una puzzolente nube di fumo nero. «Nessuno ci aveva avvertito che la nube era tossica», hanno lamentato alcuni residenti di Blackburn intervistati recentemente dal settimanale nazionale Sunday Times.
Intanto, è stato aperto un procedimento penale contro la Upl, con sede a Mumbai, in India, che non avrebbe potuto avviare la propria attività dal momento che aveva aderito a uno solo dei sette requisiti richiesti dalla legge, ha denunciato la ministra dell’ambiente. Solo l’indagine giudiziaria potrà fare luce sul come e perché l’Upl abbia avuto licenza di operare in flagrante violazione delle norme riguardanti la sicurezza e l’ambiente. Un’indagine i cui progressi i gruppi ambientalisti e della società civile chiedono siano resi pubblici.
Il comune di eThekwini – l’area metropolitana attorno alla città di Durban – ha comunicato di aver iniziato a verificare l’impatto sulla salute degli abitanti circostanti l’impianto chimico per mezzo di una clinica mobile incaricata di raccogliere dati pertinenti a una valutazione comprensiva della situazione sanitaria.
Ma i residenti di Blackburn contestano la versione della municipalità di eThekwini e dichiarano che a loro è stato richiesto soltanto di completare un questionario fornito da una ditta commissionata dalla stessa Upl.
«È scioccante la lentezza con cui si sta conducendo l’indagine sulla salute degli abitanti nei pressi dell’impianto chimico – ha dichiarato al Sunday Times Tracy-Lynn Field, docente alla facoltà di legge della Università Wits di Johannesburg –. E se i test ambientali sono stati effettuati da esperti nominati dall’Upl, è assai probabile che gli esami sulla salute degli abitanti eseguiti da centri clinici mobili del comune di eThekwini siano finanziati dall’Upl».
Nel frattempo, la proprietà dell’azienda chimica indiana dovrà pagare i costi per la realizzazione di un forum comprendente vari interlocutori, istituito dal ministero dell’ambiente con lo scopo di informare la popolazione interessata su ciò che si sta facendo per fare fronte al disastro ambientale.