L’accordo è arrivato: il prossimo governo del Sudafrica sarà di “unità nazionale”. A suggellarlo è un’intesa fra i due principali partiti che condivideranno questo compito: l’African National Congress (ANC) che guida il paese dalla fine dell’apartheid e dal ritorno alla democrazia nel 1994 e le Democratic Alliance (DA), maggior formazione di opposizione del paese, vicino a industriali e classe imprenditoriale ma accusata da più parti di rappresentare soprattutto le istanze della ricca minoranza bianca.
Il governo di unità nazionale non è una novità nella storia del Sudafrica: il primo esecutivo democratico della sua storia, guidato dall’allora presidente Nelson Mandela, era proprio di questo tipo. Da allora però le larghe intese in Sudafrica non si erano più rese necessarie. Alle elezioni generali dello scorso 29 maggio però, per la prima volta dal ritorno al suffragio universale, l’ANC non ha ottenuto la maggioranza assoluta, arrivando al 40% dei consensi, seguito dalle DA al 21%.
Come previsto nei giorni scorsi, un ruolo toccherà di sicuro anche all’Inkhata Freedom Party (IFP), unica formazione terza a essere citata nell’accordo, già presente nell’esecutivo del 1994 citato poche righe fa. L’IFP esprime in modo particolare gli interessi della popolazione di lingua zulu ed è nato a metà degli anni ’70 da una scissione dell’ANC. Non è esclusa la possibilità che altri partiti si uniscano alla compagine governativa.
Eccetto alcuni però: mettendo insieme indiscrezioni e dichiarazioni delle scorse settimane, è da dare per assodato che la presenza delle DA nel governo escluda automaticamente un coinvolgimento degli Economic Freedom Fighters (EFF), tradizionalmente il terzo partito del paese, su posizioni populiste di sinistra, il 9% dei voti alle ultime consultazioni.
Sicuramente non ci sarà spazio neanche per l’Umkhonto we Sizwe (MK) dell’ex presidente Jacob Zuma. La formazione, denominata come la vecchia ala paramilitare dell’ANC durante la lotta di liberazione, ha boicottato la prima sessione del parlamento con i suoi 58 deputati dopo aver lamentato brogli e aver messo un veto alla riconferma del presidente uscente Cyril Ramaphosa.
L’Mk ha ottenuto alle elezioni un più che sorprendente 17% dei voti, scalzando l’EFF come terza forza politica del paese e raggiungendo addirittura il 45% dei favori nella provincia del KwaZulu-Natal, la seconda più popolosa del paese, tradizionale roccaforte del consenso di Zuma.
O Ramaphosa o niente
Tornando all’importante questione del presidente, il documento firmato dai due partiti non ne prevede già la nomina. In realtà, rispetto a questo, non sono previste sorprese: la riconferma di Ramaphosa, 71 anni, ex leader sindacale e facoltoso imprenditore, era una delle conditio sine qua non per la creazione di un esecutivo. Lo ha già di fatto confermato il leader delle DA, John Steenhuisen, che alla stampa ha reso noto il sostegno del suo partito al leader dell’ANC.
Sono già note altre cariche. La formazione del presidente ha avuto in dote anche lo speaker dell’Assemblea Nazionale. I deputati hanno già eletto la ex ministra dell’agricoltura e della riforma della terra, Thoko Didiza, con 284 voti a favore su 341. Il ruolo di vice speaker dovrebbe invece andare a un esponente delle DA.
La formula del “consenso”
L’intesa di oggi è valida sia sul piano legislativo che su quello esecutivo. Questo significa che l’accordo determinerà gli equilibri all’interno del parlamento ma pure nel governo. Il patto fra DA e ANC avrà valore anche nei governi provinciali di KwaZulu-Natal e Gauteng, principali province del paese per popolazione e peso economico.
Il principio base dell’esecutivo di unità nazionale sarà il «consenso», a partire dall’idea che lì dove non ci sarà un accordo sufficiente su un dato tema sarà necessario che si raggiunga un’intesa fra i partiti del governo che comprenda almeno il 60% dell’Assemblea Nazionale.
L’esecutivo agirà a partire da nove priorità di base, fra le quali crescita economica, riforma fondiaria e creazione di posti di lavoro. Uno dei campi più delicati nel rapporto ANC-DA era la politica estera e in modo particolare il netto sostegno del partito di governo alla causa palestinese, non altrettanto condivisa dal nuovo partner al potere.
Rispetto a questo, il nuovo governo esprimerà una posizione «basata sui diritti umani, sul costituzionalismo, sull’interesse nazionale, sulla solidarietà, sulla risoluzione pacifica dei conflitti, per realizzare l’Agenda africana 2063».