Il Sudafrica fa i conti con il dramma della violenza di genere
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Il primo report nazionale sul tema mostra uno scenario fosco: un terzo delle donne ha subito violenza nella sua vita
Il Sudafrica fa i conti con il dramma della violenza di genere (senza populismi)
La società civile si aspetta che qualcosa cambi, dopo molte promesse non mantenute da parte del governo
19 Novembre 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 6 minuti
Una protesta contro la violenza di genere in Sudafrica nel 2012. Foto di Say No - Unite, da Flickr.

In Sudafrica è stato consegnato al governo il primo studio nazionale sulla violenza di genere. Ne emerge un quadro preoccupante: nel paese più di una donna su tre ha subito un qualche tipo di violenza fisica durante la sua vita mentre circa una su dieci ha subito una violenza sessuale. Un quarto degli abusi è stato perpetrato da persone con cui le vittime avevano una relazione intima. Fette significative della popolazione maschile dimostrano di avere posizioni fortemente patriarcali e che giustificano le violenze ai danni delle donne, quando non le ritengono addirittura legittime.

La fotografia scattata dal report è impietosa ma va anche a fondo, mettendo sotto i riflettori i problemi di salute mentale che sono provocati dalle violenze e che spesso sono anche all’origine dei comportamenti di chi le commette.

Un tema che non va banalizzato 

A venir fuori è una panoramica complessa. Perchè il tema non si presta alle riduzioni a una forma “votogenica”, un neologismo che si permette chi scrive per definire posizioni che servono solo a polarizzare e produrre consenso. Un promemoria per il governo italiano, che sulla questione  sta promuovendo in questi giorni una narrazione costellata di dati manipolati ad arte e semplificazioni fatte con l’accetta, a partire dalla presunta connessione fra aumento della migrazione irregolare e incremento delle violenze sessuali vagheggiata dal ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara. Dichiarazioni rilanciate sulla pelle delle vittime, dei migranti, della coesione sociale e della verità dei fatti.

Tornando al Sudafrica, il report di cui si dà conto è stato stilato dallo Human Sciences Research Council (HSRC), un centro studi fondato 56 anni fa che opera sotto la supervisione del Dipartimento governativo della scienza e della tecnologia sudafricano. Il documento si basa su un sondaggio che ha coinvolto oltre 10mila persone – 5 603 donne e 4 409 uomini – residenti in tutte le nove province del paese. Le testimonianze sono state raccolte in più fasi fra marzo e dicembre 2022 e poi ultimate a cavallo fra la fine del 2023 e l’inizio dell’anno in corso. 

Le 70 pagine del testo sono state consegnate ieri alla ministra per le politiche su Donne, giovani e persone con disabilità, Sindisiwe Chikunga. Nel documento si afferma che la diffusione della violenza di genere nel paese «riflette norme di genere e dinamiche di potere profondamente radicate, con un forte rafforzamento culturale dei ruoli di genere tradizionali e una preoccupante accettazione dell’aggressività e del predominio maschile».

I dati

I numeri parlano chiaro. Il Sudafrica è stato spesso descritto come uno dei paesi del mondo dove è più pericoloso essere una donna, come riconosce lo stesso report nell’introduzione. In un editoriale apparso lo scorso dicembre sul quotidiano Daily Maverick, la fondatrice della South Africa Women’s Commission e parlamentare Nobuntu Hlazo-Webster ha definito il Sudafrica un paese «in guerra con le donne».

Stando a quanto emerge dalle rilevazioni condotte dal HSRC, quasi il 36% delle cittadine ha subito una violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita (un dato elevato ma non di molto superiore alla media mondiale, che secondo le Nazioni Unite è pari al 30%), mentre il 9,8% è stata vittima di una vera e propria violenza sessuale. Negli ultimi 12 mesi, le cittadine sudafricane che sono state violentate sono più di 400mila, mentre quelle che sono state sottoposte a una violenza fisica 1,3 milioni. 

Un quarto degli atti di sopraffazione descritti nel report viene commesso da uomini con cui la vittima ha un relazione intima. 

E da qui si passa alla visione maschile rispetto al tema, di cui il documento fornisce uno spaccato inquietante. Dalla ricerca si evince che sette cittadini sudafricani su dieci pensano che una donna debba obbedire al marito, un quarto che la propria compagna non può rifiutarsi di avere rapporti sessuali con lui. E consapevolezza, almeno delle leggi, non sempre si traduce in un comportamenti meno violenti o posizioni meno radicali.

Se l’85% delle persone sentite nel report afferma di conoscere la normativa sudafricana nel contrasto alla violenze di genere, «un’alta percentuale di uomini concorda con l’idea che le leggi rendano troppo facile per una donna sporgere denuncia per violenza contro un uomo», si legge nel testo. Il 12% degli uomini ascoltati afferma che se una donna non si difende allora la violenza compiuta non può essere ritenuta una stupro e il 10% che una donna che subisce violenza è responsabile di essersi messa nelle condizioni che l’hanno prodotta. 

Il sondaggio sottolinea inoltre che anche molte cittadine sudafricane hanno una visione patriarcale della realtà. Circa il 13% delle donne citate nel report, a esempio, pensa che sia giusto che un marito consideri la moglie una sua proprietà dopo il matrimonio.

Il problema della salute mentale

Una delle ragioni che soggiace a questo stato delle cose è anche quella che i media sudafricani definiscono una “crisi diffusa della salute mentale maschile”. Il lavoro del HSRC fa luce su questa dinamica: quasi un quarto degli uomini che ha ammesso di aver commesso un abuso su una donna è stato ritenuto a rischio di depressione clinica, più di un quarto ha avuto fantasie suicide e quasi un terzo ha provato almeno una volta a togliersi la vita. In molti hanno riferito di essere stati a loro volta vittime di abusi come il bullismo. 

Servono i fatti 

Il documento presentato in settimana si conclude con una serie di raccomandazioni, sia a livello dei singoli individui che di tipo olistico e a lungo termine. Fra queste si annoverano «sviluppare politiche sociali appropriate per affrontare le sfide sociali e strutturali alla base fattori determinanti identificati nello studio» e «progettare e valutare interventi basati su un approccio intersezionale e una prospettiva culturalmente appropriata, affrontando la violenza storica e l’emarginazione delle donne e delle comunità in generale». 

Suggerimenti che dovrebbero integrare l’implementazione del Piano nazionale strategico sulla violenza di genere e il femminicidio, lanciato nel 2020. Molti però i dubbi che l’amministrazione di Pretoria passi effettivamente ai fatti. Il Sudafrica, ha denunciato al Maverick Themba Masango, portavoce della campagna della società civile Not In My Name, «ha una  buona comprensione del problema, delle raccomandazioni e delle soluzioni necessarie per affrontarlo; la sfida sta nell’implementazione, ed è qui che il paese è venuto meno». Nel 2022 sempre il Maverick aveva passato al setaccio le promesse chiave sul tema fatte a partire dal 2018 dalla vecchia amministrazione, sempre a guida Ramaphosa. Su dieci impegni annunciati, solo due erano stati rispettati. 

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