Le azioni militari intraprese da Israele nella striscia di Gaza a partire dal 7 ottobre mirano allo sterminio della popolazione palestinese residente nell’area e costituiscono quindi una violazione della Convenzione per la prevenzione e la punizione del genocidio del 1948. È questa l’istanza principale della causa che lo stato del Sudafrica ha presentato a fine dicembre contro Israele alla Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite e che inizierà a essere dibattuta l’11 e il 12 gennaio all’Aia, nei Paesi Bassi, dove ha sede il tribunale.
Pretoria e Tel Aviv sono entrambi firmatari dalla Convenzione, rispettivamente dal 1998 e dal 1949. La misura intrapresa dal Sudafrica è resa possibile dalla natura erga omnes partes (“nei confronti di tutti”, in riferimento in questo caso ai paesi firmatari) degli obblighi stabiliti dalla Convenzione.
Questa settimana i giudici di base nella città olandese prenderanno in considerazione la richiesta di misure provvisorie avanzata d’urgenza da Pretoria affinché si ordini a Israele di sospendere immediatamente tutte le azioni militari e le violazioni della Convenzione, che definisce il genocidio come l’insieme di «atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Il provvedimento richiesto dal Sudafrica punta anche a garantire l’accesso agli aiuti umanitari e ai servizi di base alla popolazione di Gaza, costituita ormai per l’85% da persone sfollate.
Da statuto la Corte dell’ONU, istituita nel 1945, può emettere un provvedimento di questo tipo già prima che si arrivi alla fine del procedimento e anche prima che si chiarisca se Israele sta effettivamente commettendo un genocidio o meno. È sufficiente che i giudici ritengano che almeno uno degli atti contestati dall’accusa sia plausibile ai sensi della Convenzione sul genocidio.
A oggi sono oltre 23mila i morti e circa 60mila i feriti provocati dall’attacco israeliano. Di queste migliaia di vittime oltre 7mila sono minori, come evidenziato nelle argomentazioni presentate dalla squadra di legali del governo sudafricano. L’intervento di Tel Aviv è scattato dopo che il 7 ottobre scorso miliziani del braccio armato del partito islamista di Hamas e di altri gruppi armati palestinesi hanno condotto un’incursione in territorio israeliano e ucciso oltre 1.100 persone, per lo più civili israeliani.
Il contenuto delle 84 pagine di denuncia
Nella denuncia sudafricana, un documento di 84 pagine, si specifica che Israele sta commettendo un genocidio, sta fallendo nel prevenirlo e anche nel perseguire l’incitamento diretto a commetterlo compiuto da diverse autorità israeliane, compresi il presidente della repubblica Isaac Herzog e il primo ministro Benjamin Netanyahu. Tutti punti questi, punibili ai sensi della convenzione a cui si appella il Sudafrica.
L’iniziativa è solo l’ultima di una serie di provvedimenti intrapresi dopo il 7 ottobre dal paese, che ha sostenuto con costanza la causa palestinese fin dalla fine del regime di apartheid, terminato nel 1994. Pretoria, che all’inizio del conflitto si era anche offerta come mediatrice, ha convocato anche una riunione di emergenza del gruppo dei BRICS sul tema a novembre.
Il paese mediorientale ha criticato duramente la denuncia sudafricana alla Corte dell’ONU, accettando di difendersi in sede di tribunale ma avvertendo Pretoria che «la storia la giudicherà senza pietà» per essersi resa «complice» di Hamas. Il presidente Herzog ha definito l’azione sudafricana «atroce e insensata». Gli USA hanno invece bollato come «priva di qualsiasi merito» l’iniziativa legale sudafricana. Al contrario, sono numerosi i movimenti della società civile e i paesi che stanno sostenendo la politica de governo del presidente Cyril Ramaphosa, comprese l’Organizzazione internazionale dei paesi musulmani (OIC), la Turchia e la Bolivia.
Cosa può succedere?
Che prospettive ha questa causa? Come detto sia il Sudafrica che Israele sono paesi firmatari della Convenzione sul genocidio, oltre a essere membri delle Nazioni Unite e quindi vincolati alla carta che fa da statuto alla Corte. Quanto deliberato dal tribunale dovrebbe essere perciò vincolante. L’organismo però non ha potere attuativo, come ben esemplificato da quanto avvenuto nel 2022, quando un ordine provvisorio che obbligava la Russia a interrompere le sue azioni militari in Ucraìna è stato ignorato da Mosca. I tempi del procedimento potrebbero essere inoltre lunghi, e superare il mese anche solo per arrivare all’eventuale emissione delle misure richieste d’urgenza dal Sudafrica, come già avvenuto in casi simili nel recente passato.
Un’eventuale sentenza a favore di Pretoria metterebbe però un’enorme pressione su Tel Aviv e, forse soprattutto, sui suoi alleati più vicini e sostenitori in termini di armi e finanze, in modo particolare gli Stati Uniti e diversi paesi dell’Unione Europea. Per fare un esempio, continuare a fornire armi a un paese che sta commettendo un genocidio costituirebbe una violazione delle leggi statunitensi ed europee e rischierebbe di aggravare i già accessi dibattiti politici interni sulla questione, oltre che l’opposizione della società civile.
Complesso capire le ricadute che questo procedimento avrà a livello di politica interna sudafricana. Il governo a guida African National Congress (ANC), partito entrato nel suo 30esimo anno al potere di fila, sta accusando un calo dei consensi notevole, il peggiore delle ultime tre decadi. Fra le ragioni principali di questa flessione, la crisi sistemica della rete infrastrutturale, il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie e le numerose accuse di corruzione di cui è oggetto la formazione di governo.
Ramaphosa ha affermato che il Sudafrica ha agito in quanto «punto di riferimento mondiale sulle questioni dei diritti umani». Il ministro della Giustizia Ronald Lamola ha reso noto che si recherà di persona all’Aia per guidare la delegazione di avvocati sudafricani. Mentre le opposizioni restano per lo più in silenzio, la maggiore organizzazione di rappresentanza degli ebrei in Sudafrica, la South African Jewish Board of Deputies (SABDJ), sembra essere l’unica ad aver preso posizione contro il governo. Secondo l’ente, che ha oltre un secolo di storia, la causa contro Israele non permette a Pretoria di «svolgere un ruolo positivo» nel contesto di quanto sta avvenendo a Gaza.