Negli ultimi decenni, più di 80 metropoli nel mondo hanno dovuto fare i conti con la crisi idrica, un problema destinato solo a peggiorare. Già nel 2016 un rapporto pubblicato dall’Università della Pennsylvania sul razionamento idrico a San Paolo (Brasile) era giunto alla conclusione che per il mondo l’epoca dell’acqua potabile disponibile liberamente e a basso costo era ormai finita.
Adesso, mentre la siccità erode lentamente la terra di diversi paesi africani, un gruppo di scienziati e ricercatori si è riunito per studiare l’impatto delle disuguaglianze sociali su questo fenomeno.
Il risultato è uno studio pubblicato da Nature Sustainability il 10 aprile i cui risultati mostrano chiaramente la necessità di ripensare, anche sulla base del reddito, le soluzioni per far fronte alla carenza d’acqua. L’impatto dei consumi dell’élite infatti è risultato molto più grande rispetto al resto della popolazione.
Prendendo Città del Capo come caso di studio, la popolazione è stata divisa in cinque livelli: l’1.4% è composta da un’élite molto benestante, seguita da un 12.3% di persone a reddito medio-alto, 24.6% a reddito medio-basso, 40.6% basso e infine un 21% sotto la soglia di povertà.
Confrontando i consumi idrici e la diversa distribuzione della ricchezza, si è notato come il 14% più ricco della popolazione della metropoli consumi da solo più del 51% delle risorse idriche, mentre al 60% più svantaggiato arriva soltanto il 27%.
Inoltre, è stato riscontrato che la maggior parte dell’acqua consumata dal 14% più ricco non va nelle necessità di base. Piscine private, giardini privati, aree di lusso hanno un ruolo consistente nel consumo dell’acqua, un peso che il pianeta, a quanto pare, non può più permettersi.
Già a marzo la Commissione globale per l’economia dell’acqua ha avvertito che entro il 2030 la domanda d’acqua supererà del 40% l’offerta. E il divario tra poveri e ricchi, sempre più ampio in alcune parti del mondo, sta facendo ulteriormente precipitare la situazione. (AB)