In Sudafrica la medicina tradizionale e quella ufficiale si alleano nella prevenzione e il contrasto ad Aids e Hiv. Nel paese si sta infatti sviluppando un programma che prevede l’inclusione di guaritori tradizionali all’interno del sistema di assistenza sanitaria primario. L’ottica è quella di rendere più efficace e sostenibile la cura delle persone che vivono nelle regioni rurali del paese.
Non è affatto un caso che i programmi di maggior successo in questo ambito abbiano a che vedere con la prevenzione dell’Aids/Hiv. Il Sudafrica, il virus ha una prevalenza del 18,8% fra la popolazione adulta di età compresa fra i 15 e i 49 anni e le persone che convivono con la siero positività sono 5,5 milioni. Si tratta della popolazione più numerosa al mondo in termini assoluti.
Allo stesso tempo, nel paese africano si calcola la presenza di circa 200mila curatori tradizionali. Una cifra ben superiore a quella del personale biomedico del sistema sanitario ufficiale. Nelle regioni rurali, non meno dell’80% della popolazione si reca con regolarità da queste figure, che godono di prestigio sociale all’interno delle comunità. Molti sudafricani, quindi, alternano cure e rimedi tradizionali a quelli della medicina moderna. Spesso, riferisce la letteratura specializzata, i guaritori tradizionali sono visti con minor diffidenza dalle persone che appartengono alle comunità rurali. In questo senso, possono quindi ampliare la portata di alcuni importanti interventi sanitari come la prevenzione e il controllo per quanto riguarda il virus dell’Hiv, raggiungendo fasce di popolazione che altrimenti non si farebbero testare.
Le esperienze pilota
Sono anni che in Sudafrica si studia la questione. L’anno scorso però, un progetto della Witwatersrand University di Johannesburg col dipartimento sanitario locale ha portato alla certificazione come personale autorizzato di 15 guaritori tradizionali della zona di Bushbuckridge, nella provincia nord-orientale di Mpumalanga. I curatori sono stati formati nella somministrazione dei test per l’Hiv e nel servizio di counseling ai pazienti, compresa la fase di rinvio a centri di salute del sistema sanitario nel caso in cui il test desse esito positivo. La formazione si è svolta in due centri di salute, ribattezzati “open house”, in cui curatori nativi, leader tradizionali, personale sanitario ed esponenti della comunità si sono potuti confrontare e conoscere meglio. Circa 150 persone hanno preso parte alle sessioni organizzate in questi centri.
La Witwatersrand University ha lanciato ora una collaborazione con il Vanderbilt Institute for Global Health (VIGH), un’organizzazione legata alla Vanderbilt University statunitense che porta avanti diversi progetti di ricerca e per il rafforzamento di sistemi sanitari più fragili in più paesi del mondo. L’iniziativa, che ha ricevuto fondi per quasi tre milioni di dollari, servirà anche a monitorare i tassi di persone che si sottopongono ai test con i guaritori locali in 42 aree.
Oltre a somministrare gli esami, il personale nativo qualificato si occuperà di mantenere i contatti fra gli utenti e i centri di salute, sia di persona sia tramite Whatsapp. Gli esami verranno effettuati anche nelle indumbas, termine usato in più parti dell’Africa australe per definire capanne o piccole abitazioni in cui sciamani e guaritori conducono rituali ed effettuano cure. Fra le realtà che hanno collaborato al progetto che ora porterà avanti il VIGH c’è sia il ministero della salute sia Kukula, l’organizzazione che rappresenta i guaritori locali.
Le due iniziative citate fanno a loro volta parte di Ntirhisano, un progetto della Witwatersrand University che vuole facilitare e promuovere il riconoscimento del ruolo dei guaritori e al contempo incoraggiare la loro formazione in campo medico. Il principio da cui parte il progetto è che «la collaborazione tra il sistema tradizionale e quello moderno è possibile quando si condividono convinzioni e viene mantenuto il rispetto reciproco».
A oggi, stando ai dati comunicati dalla stessa università sudafricana, l’evoluzione del progetto è incoraggiante: il 94% dei guaritori hanno completato con successo la formazione mentre ben l’80% delle persone che si recano in in genere da loro di essere testato, portando così a una sempre maggiore identificazione di casi di siero positività che altrimenti rimarrebbero nascosti.