Il Sudafrica è un mercato impossibile, Total si sfila dal gas naturale
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La multinazionale francese ha rinunciato alla concessioni su importanti giacimenti
Il Sudafrica è un mercato impossibile, Total si sfila dal gas naturale
Al centro ci potrebbero essere mancati accordi con aziende statali dell'energia
30 Luglio 2024
Articolo di Redazione
Tempo di lettura 4 minuti
Foto di Carol M. Highsmith, da RawPixel

 

 

Il Sudafrica sta affrontando una enorme crisi di approvvigionamento energetico e ha un urgente bisogno di diversificare le fonti di energia, mentre al largo delle sue coste giacciono fino a un miliardo di barili di gas naturale equivalente. Due più due però, in questo caso non fa quattro: nel paese infatti, che importa tutto il suo fabbisogno di idrocarburi, sembrerebbe «troppo difficile sviluppare economicamente e monetizzare sul mercato locale queste scoperte di gas».

È quanto sostiene il colosso francese del settore Total, che con questa motivazione ha deciso di rinunciare alle sue quote su delle importanti concessioni di gas naturale offshore situate al largo della provincia del Capo occidentale, le uniche riserve note dell’idrocarburo in questione di cui dispone il paese.

La disdetta del gigante transalpino, che detiene il 45% delle concessioni citate, segue di poco una decisione simile di Canadian Natural Resources International (CNRI), società partner che deteneva il 20% dei blocchi di gas sudafricani. Anche un’altra società qatarina con quote pari al 25% ha annunciato l’intenzione di procedere nello stesso modo. A oggi solo la compagnia canadese Africa Energy non ha rinunciato alle sue quote, che rappresentanto il 10% del totale. 

La società francese ha anche abbandonato le sue quote anche su altre tre concessioni, di cui possedeva il 40%. Ora la società francese mantiene delle partecipazioni solo sul versante sudafricano del giacimento offshore di gas e petrolio dell’Orange Basin, situato in larga parte al largo delle coste della vicina Namibia e ritenuto fra i più promettenti al mondo.

Acque agitate 

La multinazionale francese ha scoperto i giacimenti di Brulpadda e Luiperd, questo il nome delle due riserve sui cui deteneva le concessioni a cui ha rinunciato, rispettivamente nel 2019 e nel 2020. Le esplorazioni che hanno portato a individuare i due depositi hanno sfidato alcune fra le più forti correnti oceaniche al mondo e sono costate a Total non meno di 400 milioni di dollari. Una cifra importante anche per il gigante francese, maggior produttore europeo di idrocarburi. Il potenziale stimato dei giacimenti, secondo Bloomberg, era di circa un miliardo di barili di gas naturale equivalenti mentre la data prevista per iniziare la produzione era la fine del 2025.

Rimarrà tutto sulla carta però. Se la formula usata da Total per motivare la decisione non scioglie tutti i nodi, le ricostruzioni della stampa sudafricana e di settore aiutano a chiarire i fatti. Oltre ad alcune criticità di tipo fisico, come le già citate correnti, Total in Sudafrica ha affrontato una serie di difficoltà burocratiche oltre che l’opposizione di alcuni gruppi ambientalisti, che hanno provato a rallentare le sue attività a largo delle coste del paese lamentando rischi per l’ambiente e per il sostentamento economico dei pescatori.

Accordi mancati 

A pesare in modo particolare però, potrebbero essere stati più che altro i mancati accordi raggiunti da Total con la compagnia energetica statale PetroSa e con la società pubblica dell’energia Eskom. La prima detiene una centrale per la produzione di combustibili dal gas da circa 45mila barili al giorno a Mossel Bay, proprio lungo la costa che si affaccia sul mare ricco di gas di cui si scrive. Questo impianto, anche al centro di una controversa concessione alla banca russa Gazprom Bank, è fermo da due anni a causa della mancanza di gas eppure, Total e PetroSa non sono riusciti ad arrivare a un’intesa sulla fornitura della materia prima per la struttura.

Sarebbe successo qualcosa di simile anche con Eskom, almeno secondo quanto riferito dal magazine di settore Africa oil+gas Report. Nei piani di Total, parte degli idrocarburi estratti dal fondo dell’Oceano sarebbero dovuti servire a fornire energia a delle centrali elettriche che dovrebbero funzionare a gas e che vengono invece alimentate a diesel, con costi enormi. Anche qui, fra le due società non si sarebbe raggiunto un accordo.

Notizie che diventano paradossali se si guarda al contesto sudafricano con più attenzione. L’80% dell’approvvigionamento energetico del Sudafrica proviene da inquinanti e vetuste centrali a carbone. Eskom è al collasso e solo l’anno scorso blackout controllati sono stati imposti alla popolazione per oltre 300 giorni.

Le difficoltà nell’affrancamento dal carbone potrebbero anche costare ancora più care al Sudafrica. Il paese, vista le difficoltà a chiudere gli impianti che funzionano con questa fonte di energia entro il 2030, sta tentando di rinegoziare i termini di un’intesa pilota con una serie di paesi partner per il sostegno al processo di decarbonizzazione siglata nel 2021, durante la Cop26 di Glasgow. In palio ci sono circa 11 miliardi di dollari in prestiti, sovvenzioni e garanzie.

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