Le congiunture geopolitiche hanno prodotto una situazione potenzialmente favorevole al Sudafrica, ma il paese non si è fatto trovare pronto. A partire da dicembre scorso, il numero di navi cargo che ha deciso di evitare il Mar Rosso, bersaglio degli attacchi della milizia yemenita degli houthi, e di passare per il Capo di Buona Speranza è aumentato a dismisura.
Le condizioni critiche in cui versano i porti sudafricani e più in generale diverse delle infrastrutture chiave del paese però, non hanno permesso a Pretoria di approfittarne economicamente.
Necessario partire dal principio. A metà dello scorso novembre la milizia houthi, che controlla larga parte del territorio dello Yemen, inclusa la capitale Sana’a, ha iniziato ad attaccare navi cargo proprietà di società israeliane o di paesi ritenuti alleati di Tel Aviv o dirette in Israele.
Il contesto è quello del conflitto in corso a Gaza e queste azioni, stando a quanto dichiarato dallo stesso gruppo armato, mirano a costringere Tel Aviv a interrompere la sua offensiva in territorio palestinese, che in circa sei mesi ha provocato la morte di 31mila persone, la distruzione di buona parte della striscia di Gaza e il conseguente sfollamento di quasi tutta la sua popolazione, nonché il collasso del sistema sanitario locale.
Da gennaio una task force a guida Stati Uniti e Gran Bretagna ha iniziato a colpire obiettivi houthi in territorio yemenita. La situazione è quanto mai tesa e pericolosa. Da qui quindi, la decisione di centinaia di navi di evitare di entrare nel Mar Rosso dal canale di Suez o dal Golfo di Aden.
In tutto, stando a dati delle Nazioni Unite aggiornati a febbraio, oltre 580 vascelli hanno deciso di cambiare rotta. In totale, il volume di container transitato per il passaggio, che politicamente appartiene all’Egitto, è diminuito dell’82%. I guadagni derivanti dal transito delle navi per le casse del Cairo sono scesi del 40%.
Dati che sostanziano un colpo durissimo al sistema del commercio internazionale. Per il Canale di Suez e per il Mar Rosso transita circa il 95% della merce che viaggia fra Asia ed Europa, il 30% del volume mondiale di container e circa il 12% del mercato mondiale dei beni. A inizio marzo, per la prima volta da quanto se ne tiene traccia, nel Mar Rosso non era presente neanche una nave per il trasporto del gas naturale liquefatto.
Mare sempre più trafficato
Una crisi tremenda quindi, che però ha avuto ricadute positive – o avrebbe potuto – per alcune regioni. La stragrande maggioranza delle navi che ha riformulato il suo percorso ha deciso infatti di circumnavigare l’Africa. La rotta che passa per tutta la costa del continente, che allunga il tragitto complessivo per passare dall’Europa all’Asia o viceversa di circa 12 giorni, ha visto un incremento del traffico dell’85%. Il passaggio per le acque territoriali sudafricane è aumentato del 53%.
Stando a quanto riferiscono diversi analisti concordanti però, che per ora non citano cifre precise, i porti del Sudafrica non sono all’altezza dell’opportunità che gli si presenta. Tutte le navi necessitano infatti quanto meno di fare pause per il rifornimento e quindi di pagare per i servizi di uno scalo. I porti del Sudafrica però sono fra i peggiori al mondo.
Stando all’ultimo report a riguardo della Banca Mondiale, datato 2022, tre dei primi dieci porti meno efficienti al mondo si trovano in Sudafrica: Ngqura, al 338esimo posto su 348, Città del Capo, al 344esimo posto; e soprattutto Durban, il più trafficato d’Africa, fermo al 341esimo posto.
Lo scorso novembre la concomitanza di una serie di fattori ha prodotto una vera e propria tempesta perfetta in questo importantissimo scalo: 79 navi con a bordo oltre 61mila container sono rimaste ancorate per giorni a largo della banchina a fronte di un impasse della struttura.
Secondo Robert Khachatryan, presidente della società di logistica Freight Right ascoltato da Bloomberg, molti vascelli stanno evitando il Sudafrica « beneficiando direttamente porti strategicamente posizionati come Toamasina in Madagascar, Port Louis a Mauritius e Walvis Bay in Namibia, che si trovano lungo la rotta est-ovest che collega l’Asia con l’Europa». Dello stesso avviso anche gli analisti dell’Intelligence Unit del quotidiano The Economist, che in un report pubblicato giorni fa delineano la stessa situazione.
Transnet in ginocchio
La crisi dei porti sudafricani ha un nome e un cognome: Transnet, la società statale che gestisce ferrovie e scali marittimi del paese. Come molte altre compagnie a guida statale, anche questo gigante delle infrastrutture accusa una crisi grave.
Fra la ragioni principali ci sono la corruzione, diffusa a tutti i livelli, i furti alle reti e poi gli effetti dei razionamenti di energia che si verificano quotidianamente in tutto il paese, a loro volta causati dall’agonia dell’altra grande responsabile della crisi dell’economia sudafricana: il gigante dell’energia Eskom.
Nei primi sei mesi del 2023 Transnet ha perso 1,6 miliardi di rand (circa 78 milioni di euro), quando nello stesso periodo l’anno prima aveva fatto registrare un guadagno di 175 milioni di rand (quasi 7,8 milioni di euro).
Lo stato di degenerazione in cui si trovano le infrastrutture del paese, e i suoi effetti sull’economia, sarà uno dei temi caldi delle prossime elezioni, in programma il 29 maggio. Le consultazioni si preannunciano come le più dure dalla fine dell’apartheid per l’African National Congress (ANC), partito di governo per tutti i 30 anni che sono seguiti al ritorno alla democrazia.