È quasi impossibile sapere già da ora come sarà composto il prossimo governo che guiderà il Sudafrica, dopo che il 29 maggio scorso l’African National Congress (ANC) che controlla il paese dal ritorno alla democrazia nel 1994 ha perso per la prima volta la maggioranza assoluta in parlamento alle elezioni generali.
C’è una formula però, che potrebbe aiutare a capire da che parte tira il vento. In molte direzioni in realtà, dato che la dicitura in questione è per definizione la più ampia e possibilista fra tutte: governo di unità nazionale. Queste quattro parole sono state chiamate in causa nella tarda serata di ieri 6 giugno dal presidente uscente Cyril Ramaphosa, alle prese con la necessità di trovare dei partner per poter raggiungere la maggioranza e poter quindi esprimere il nuovo capo dello stato, che nelle intenzioni dell’Anc dovrebbe continuare a essere lui. «Abbiamo concordato di invitare i partiti politici a formare un governo di unità nazionale come la migliore opzione per far avanzare il nostro paese», ha scandito Ramaphosa, un passato da leader sindacale e poi da imprenditore milionario.
«Lo scopo del governo di unità nazionale – ha aggiunto Ramaphosa, che è al suo primo mandato – deve essere, prima di tutto, quello di affrontare le questioni urgenti che i sudafricani vogliono che vengano affrontate». Ovvero: «La creazione di posti di lavoro e la crescita inclusiva della nostra economia, l’alto costo della vita, la fornitura di servizi, la criminalità e la corruzione».
Dicitura ben nota agli analisti politici italiani, governo di unità nazionale in Sudafrica rimanda a un’esperienza politica precisa: se si vuole, la più importante della recente storia politica sudafricana. Era infatti di “unità nazionale” l’esecutivo che l’allora presidente Nelson Mandela costituì dopo le prime elezioni a suffragio universale del 1994 insieme al National Party (Np), il partito dell’apartheid che era stato in parte riformato dall’ex primo ministro Frederik de Klerk, che in quel governo venne nominato vice presidente, e con poi l’Inkhata Freedom Party (Ifp), rivale politico dell’Anc nato da una scissione all’interno di questo stesso partito negli anni ’70, portatore degli interessi della popolazione di lingua zulu.
Quella compagine durò tre anni fino al 1997 e promosse alcuni dei passaggi più rilevanti della storia sudafricana: due su tutti, la creazione della Costituzione che ancora oggi informa l’ordinamento del paese, ritenuta una delle più belle e avanzate al mondo, e poi l’istituzione della Commissione per la verità e la riconciliazione che fece i conti coni l sistema di abusi e violenza che caratterizzava gli anni dell’apartheid.
L’unità nazionale alla prova della storia
Oggi come oggi governo di unità nazionale significa però tante cose diverse: innanzitutto, chiude la porta a una coalizione esclusiva con le Democratic Alliance (DA), partito di centro, forte fra l’elettorato bianco e coloured e soprattutto maggiore forza dell’opposizione del paese che il 29 maggio ha ottenuto il 22,1% dei consensi. Il 18% in meno dell’ANC che ha ottenuto il maggior numero di voti. A seguire con il 14% di voti, l’Umkhonto we Sizwe (MK) del vulcanico e provocatorio ex presidente Jacob Zuma, in realtà non eleggibile in parlamento per via di passate condanne. Fermi al 9% gli Economic Freedom Fighters (EFF), pure figli di una scissione dall’Anc, su posizioni populiste di sinistra.
Tornando all’asse con le Da, iniziava a sembrare la prospettiva più verosimile dopo le prime schermaglie negoziali. I nodi da sciogliere erano molti, ma il partito di opposizione aveva presentato le sue coordinate di base per la creazione di un esecutivo condiviso a partire dal rispetto della Costituzione, architrave ineludibile del sistema.
Ora, ha reso noto un portavoce del partito a Reuters, l’invito a più partiti politiche sotteso dalla chiamata a un esecutivo di unità nazionale «complica le cose». Non che fossero semplici, come già accennato. Le DA sono di fatto il partito di riferimento della classe imprenditoriale sudafricana ma sono anche molto invisi a larga parte dell’Anc in quanto ritenute ancora espressione dei vecchi oppressori e dei loro eredi, l’elitè economica bianca. Proteste in questo senso avevano già costellato le negoziazioni interne al partito di governo.
Queste caratteristiche della DA rende molto complesse tutta una serie di incastri anche con altre parti politiche, su tutte l’EFF di Julius Malema, con cui le differenze politiche restano inconciliabili. L’alleanza con quest’ultimo partito, ideologicamente molto più vicino all’Anc, è una delle alternative sul tavolo, nonostante i timori urlati dagli imprenditori e quelli che potrebbero nascere negli alleati internazionali occidentali. Capitolo a parte l’Mk di Zuma, unico partito a non accettare l’unico prerequisito irrinunciabile presentato dall’Anc: la conferma di Ramaphosa alla guida dello stato.
Aiuta Nigrizia a fare chiarezza Rocco Ronza, politologo, docente presso l’università Cattolica di Milano e membro del programma Africa dell’Ispi.
Grande conoscitore della storia sudafricana, Ronza parte dal principio: «Il paragone con il governo di coalizione che includeva l’ANC di Mandela, il National Party e l’IFP, che tra 1994 e il 1997 governò bene la transizione tra un regime e l’altro, girava sottotraccia già da qualche anno, anche se il clima di competizione “maggioritaria” della campagna elettorale lo ha fatto emergere solo dopo che si sono delineati i risultati», premette in merito alla formula rispolverata da Ramaphosa.
«In effetti – prosegue l’esperto – una “grande coalizione” centrista tra ANC e DA, magari allargata a partiti minori come Ifp e come anche le Patriotic Alliance, avrebbe una maggioranza solida in Parlamento e porterebbe in dote il controllo di quasi tutte le province. Allora come oggi, il partner più piccolo (il NP allora, la DA oggi), che pesa circa il 20%, rappresenterebbe nel governo le tre minoranze bianca, coloured – termine utilizzato comunemente in Sudafrica per riferirsi ai discendenti delle coppie miste che si formarono fin dal 17esimo secolo fra europei, nativi e schiavi provenienti dal resto dell’Africa,ndr) e di discendenza indiana, marginalizzate politicamente nei trent’anni di egemonia Anc, e questo sarebbe positivo in un momento in cui al paese serve unità di intenti per affrontare una crisi storica».
La maggioranza nera ha (per la prima volta) delle alternative
La differenza, prosegue Ronza, «é che nel 1994 l’Anc, con il 63% dei voti, conciliava dentro di sé (e controllava) tutte le anime della maggioranza nera della popolazione. Oggi invece é sfidato da forze più radicali e incompatibili con la DA (EFF e soprattutto MK). Una coalizione centrista tra ANC e DA escluderebbe quindi dalla maggioranza le forze che rappresentano le frange più povere e radicalizzabili della popolazione nera, rendendo il nuovo governo più vulnerabile “a sinistra” di quanto non fossero mai stati gli esecutivi dall’ANC».
Si rischia di esacerbare lo scontro di classe in quello che per la Banca Mondiale e il coefficiente di Gini è il paese più diseguale al mondo. «Per evitare questo pericolo – spiega Ronza – , é necessario che l’Anc ritrovi la capacità di farsi seguire da una parte almeno delle masse povere (tra le quali l’astensione é stata alta) e che il nuovo governo di coalizione riesca a mettere insieme l’efficienza e l’onestà amministrativa garantite dalla DA con una forte prospettiva sociale e “sviluppista”. É una strada stretta – ammette Ronza – ma probabilmente é l’unica che possa evitare una politicizzazione della frattura tra ricchi e poveri che sarebbe molto pericolosa in un paese caratterizzato tuttora da drammatici squilibri sociali».