Il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, è nuovamente al centro di polemiche. La settimana scorsa è stato criticato per aver snobbato la commemorazione del decimo anniversario del massacro di 34 minatori in sciopero, uccisi dalla polizia il 16 agosto 2012 a Marikana, nel nordovest del paese. E riprovato per non avere inviato alcun messaggio di solidarietà e conforto alle vedove e ai figli dei minatori uccisi che ancora attendono il riconoscimento ufficiale del loro dolore e l’indennizzo economico.
Ramaphosa, all’epoca membro del Consiglio nazionale esecutivo dell’African national congress (Anc) e azionista della multinazionale del platino Lonmin (oggi Sibanye-Stillwater), è accusato di aver incalzato le forze dell’ordine ad affrontare i minatori che scioperavano per l’aumento del salario e il miglioramento delle condizioni abitative.
In una mail alla vigilia della strage, l’attuale presidente aveva chiesto all’allora ministro della polizia, Nathi Mthethwa, di intervenire sui minatori con un’azione congiunta tra polizia e la direzione della compagnia mineraria.
Nel luglio scorso l’Alta corte del Gauteng meridionale, nella sua sentenza, ha dichiarato per la prima volta che Ramaphosa può essere incriminato dell’uccisione e del ferimento dei minatori in sciopero il 16 agosto 2012 a Marikana.
È un passo significativo nella giusta direzione per le famiglie delle vittime che da anni si battono per avere giustizia. Ora spetta alla Procura nazionale (Npa) aprire un fascicolo a carico del presidente per il suo ruolo nella strage. Finora sono finiti sotto processo soltanto poliziotti che hanno sparato sui minatori in sciopero, mentre non è stato indagato alcun dirigente che allora aveva responsabilità a livello politico.
Intanto, Ramapahosa è finito di nuovo sotto attacco per lo scandalo di Phala Phala, la sua fattoria di caccia dove nel 2020 sono stati rubati 4 milioni di dollari in contanti proventi della vendita di bovini. Il 17 agosto, sette partiti di opposizione hanno dichiarato che presenteranno in parlamento una mozione di sfiducia nei suoi confronti.
L’iniziativa segue quella del partito del Movimento africano di trasformazione (Atm) che due mesi fa aveva presentato una mozione per la rimozione di Ramaphosa dalla presidenza, accusandolo di aver violato la Costituzione per il suo coinvolgimento nello scandalo, definito dai media “Farmgate”.
Julius Malema, leader dei Combattenti per la libertà economica (Eff), uno dei firmatari della mozione di sfiducia, sostiene che Ramaphosa è colpevole della violazione della Costituzione e di molte altre leggi, per non aver denunciato il furto e per essersi avvalso del servizio di protezione presidenziale per condurre le indagini, abusando in tal modo delle risorse statali per i scopi privati.
Non ha invece sottoscritto la petizione dei sette partiti, Alleanza democratica (Da), la maggiore forza di opposizione che ha ritirato il suo consenso iniziale alla proposta del voto di sfiducia, sostenendo che avrebbe indebolito il percorso avviato per la proposta più radicale della rimozione del presidente Ramaphosa dalla sua carica.
Tuttavia, i partiti di opposizione si sono accordati nel nominare una giuria di tre esperti legali indipendenti che, se autorizzata dal presidente del parlamento, dovrà valutare se ci sono prove sufficienti per consentire al parlamento di procedere con la mozione di impeachment.
«Sarebbe ingenuo pensare – sostiene il costituzionalista sudafricano Pierre Francois de Vos – che la mozione per l’impeachment del presidente Cyril Ramaphosa possa essere approvata in parlamento, dove l’Anc ha la maggioranza dei seggi. Tuttavia, la nomina di una giuria indipendente per valutare se esistono prove sufficienti per dimostrare che il presidente ha commesso una grave violazione della Costituzione è un fatto significativo».
E che, prosegue de Vos, «Potrebbe esercitare una notevole pressione su di lui affinché si spieghi e faccia luce sulla vicenda oscura (di Phala Phala, ndr)». Una vicenda che, in ogni caso, è destinata a pesare sulla sua eventuale rielezione alla guida del partito, al congresso di dicembre.