È la politica estera, finora, a svelare con più chiarezza le contraddizioni che segnano il governo di unità nazionale del Sudafrica. A scuotere gli animi nell’esecutivo di larghe intese è stata la recente visita nel paese del ministro degli esteri ucraino, Andrii Sybiha. A galla sono venute tutte le differenze di vedute sul conflitto in corso e sui rapporti con Mosca.
Non è una sorpresa. Nelle settimane successive alle elezioni del maggio scorso, quando l’African National Congress (ANC) ha perso la maggioranza assoluta per la prima volta dal 1994, diversi esperti avevano sollevato dubbi sulla tenuta di un’eventuale coalizione con la Democratic Alliance (DA), che è stata poi scelta come alleata principale. Fra le questioni all’origine di questi timori, un ruolo importante era giocato dalle diverse posizioni in fatto di politica estera.
L’ANC, principale attore della lotta di liberazione dal regime di apartheid, è stato un movimento dalle istanze antimperialiste. Il partito sostiene da sempre e con fermezza la causa palestinese e inoltre, seppur con molte e importanti contraddizioni, si mantiene vicino almeno politicamente ai quei paesi che furono socialisti e filo-sovietici, compresa ovviamente la Russia. La DA al contrario, partito di centro e caro alla classe imprenditoriale, guarda soprattutto a Occidente e a Israele.
Il nodo ucraino
Rispetto al conflitto in corso fra Kiev e Mosca, partito nel febbraio 2022 con l’invasione russa dell’oriente ucraino, Pretoria si è sempre detta neutrale, astenendosi ai voti più importanti a riguardo in sede Assemblea generale delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo, il Sudafrica ha ospitato delle esercitazioni militari congiunte con Russia e Cina nel febbraio 2023, è stata coinvolta in uno scandalo riguardante una partita di armamenti rivolta verso Mosca e anche altro, comprese le recenti dichiarazioni di sostegno al «prezioso alleato e amico» russo del presidente Cyril Ramaphosa al cospetto dell’omologo Vladimir Putin, durante un incontro dei BRICS a Kazan. Chi governa il paese si mostra quindi quanto meno ambiguo.
Veniamo ai fatti. La scorsa settimana il ministro Sybiha si è recato in Sudafrica nell’ambito di una serie di visite che l’hanno portato anche in altri paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Il dirigente di Kiev ha incontrato l’omologo Roland Matola, già ministro della giustizia ed esponente dell’ANC. Fra i temi trattati la cooperazione economica ma soprattutto la pace. Pretoria, che guiderà il G20 il prossimo anno, è stata invitata da Kiev a partecipare a un conferenza globale sul tema in programma a novembre e alla quale dovrebbe partecipare anche Mosca. Il ministro sudafricano ha riaffermato dal canto suo che la pace può essere raggiunta solo tramite il dialogo e la fedeltà ai principi della Carte delle Nazioni Unite.
La visita di Sybiha è stata poi segnata dall’annuncio del ministro degli interni Léon Schreiber, esponente di spicco della DA. Su X, il ministro ha reso noto un presunto accordo per l’esenzione dei visti per i titolari ucraini di passaporti ufficiali e diplomatici. Nel comunicare questa intesa, Schreiber ha definito l’Ucraina «un prezioso alleato e amico», facendo quasi il calco alle parole che Ramaphosa aveva speso giorni prima per la Russia. Il ministro della DA ha proseguito, sempre rispetto a Kiev: «Ci ha sostenuto fin dall’inizio, dai giorni della nostra lotta contro l’apartheid a oggi. Non vedo l’ora che il presidente Ramaphosa aggiunga la sua firma a questo accordo la prossima settimana, così da poter concludere questo importante passo avanti per le relazioni tra le nostre due nazioni amanti della pace».
Apriti cielo. Il punto della questione sono le modalità usate da Schreiber, più che il provvedimento in sé. Come svelato dai media sudafricani, l’idea di rimuovere i visti per i diplomatici ucraini risale a prima dello scoppio della guerra, addirittura al 2020. Allo studio ci sarebbe anche l’estensione di questa misura ai cittadini comuni. Si tratterebbe del resto di un provvedimento reciproco: i sudafricani non hanno bisogno del visto per entrare in Ucraina.
Pare però che questo accordo non sia passato prima per la presidenza. Il ministro degli interni chiude con il riferimento alla firma di Ramaphosa, ma non sembra essere abbastanza. Il portavoce del capo dello stato, Vincent Magwenya, ha risposto direttamente su X: «Il Presidente deve ancora firmare il verbale che autorizza il ministro a firmare l’accordo con l’Ucraina. Non è chiaro come questi possa annunciare la firma di un’intesa internazionale senza una previa autorizzazione formale a farlo».
La lunga sequela di passaggi burocratici è spiegata in un articolo dell’emittente SA News 24. In sintesi, le dichiarazione di Schreiber sarebbero state affrettate, oltre che una probabile invasione di competenze del ministro degli esteri.
Una lunga questione politica
Il nodo vero però, è tutto politico. La postura filo-russe mostrata da Ramaphosa nei giorni scorsi, già citata, non è piaciuta alla DA, che ne ha preso ufficialmente le distanze con una nota. «Putin è un tuo alleato, non dei sudafricani», si legge nel testo con riferimento al capo dello stato. Il posizionamento della DA sulla questione del resto è noto. In un lungo articolo pubblicato poco prima delle elezioni sudafricane, il quotidiano ucraino in lingua inglese The Kyiv Indipendent aveva sottolineato come un eventuale successo, anche parziale, della DA potesse avere ricadute positive per il paese. Nel pezzo, si evidenziava inoltre come la maggior parte dei sudafricani fossero contrari alla guerra russa, e quindi in linea con la veduta del partito all’epoca ancora di opposizione.
Nell’analisi ucraina torna una valutazione riaffermata negli stessi giorni da diversi analisti: l’ANC, nel selezionare i suoi alleati, sceglieva soprattutto che tipo di proiezione estera avere nei prossimi cinque anni. Se vicina alla NATO e all’Occidente con la DA o più affine a Russia, Cina e al blocco non allineato con i partiti di opposizioni più populisti di sinistra, come gli Economici Freedom Fighters (EFF) e l’Umkhonto we Sizwe (MK) dell’ex presidente Jacob Zuma, descritto da molti come personalmente vicino a Mosca.
Questo partendo dalla premessa però, che nei suoi 30 anni di governo l’ANC è riuscito a mantenere negli anni un sostanziale equilibrio fra i blocchi geopolitici: il modello di gestione della cosa pubblica e dell’economia messo in campo dal partito si ispira alle democrazia anglosassoni, mentre UE e USA restano partner commerciali rilevanti. Se il cuore va verso gli ex alleati della Guerra Fredda, verrebbe da dire, la parte più razionale interagisce con il mondo occidentale più che volentieri.
Nel sottolineare il supporto all’Ucraina inoltre, Schreiber ha voluto implicitamente mettere in discussione la narrazione per cui la Russia è amica in quanto sostenitrice del paese fin dalla lotta contro l’apartheid. Il suo passaggio sul buio periodo storico è stato molto criticato sui social. Durante la sua visita nel paese, Sybiha ha anche partecipato a Pretoria alla cerimonia di inaugurazione di una placca dedicata a Hennadiy Udovenko, diplomatico ucraino che è stato vicepresidente del Comitato speciale delle Nazioni Unite contro l’apartheid dal 1985 al 1992, periodo in cui però il paese era parte dell’Unione Sovietica.
Rispetto ai movimenti della DA nel governo, resta da dire che la corsa ad attribuirsi la paternità di provvedimenti e traguardi (o presunti tali) sembra essere un tratto caratteristico della sua azione politica, esercitata per la prima volta a livello di governo. Un comportamento che potrebbe non facilitare la cooperazione fra formazioni che, comunque, hanno storie diverse.
Certo è che il sistema di potere in Sudafrica, non sembra curarsi di tempistiche quanto meno molto scomode. Pochi giorni dopo la partenza del ministro ucraino, ad arrivare in Sudafrica, martedì 29, sono stati due caccia bombardieri russi, che nel paese resteranno fino a venerdì nell’ambito di una dimostrazione di «cooperazione in materia di difesa e rafforzamento delle relazioni tra militari».