Mancano due mesi alle prossime elezioni generali del Sudafrica, fissate per il 29 maggio, e l’ex presidente Jacob Zuma è di nuovo al centro del dibattito politico. Questo nonostante l’opposizione sperticata che gli sta muovendo contro il suo ormai ex partito, l’African National Congress (ANC) che guida il paese da 30 anni. E soprattutto nonostante l’ordinamento sudafricano gli impedisca piuttosto chiaramente di puntare alla presidenza come invece pare proprio che stia facendo.
Per capire cosa succede e cosa c’è in gioco occorre fare una serie di passi indietro. Si può partire dalla fine. Ieri la Corte elettorale sudafricana ha respinto la richiesta dell’ANC di bloccare la candidatura alle elezioni dell’uMkontho we Siwze (MK), un partito registrato lo scorso settembre e di cui Zuma è diventato alcuni mesi dopo il leader de facto. Secondo i giudici sudafricani, le procedure seguite dall’MK e dalla Commissione elettorale del Sudafrica per registrare le liste del movimento alle prossime elezioni sono legittime, a differenza di quanto sostenuto dalla forza al governo.
L’esito del verdetto è stato celebrato da sostenitori del partito dell’opposizione, radunati fuori dal tribunale di Johannesburg dove si è svolto il procedimento. La portavoce dell’African National Congress, Mahlengi Bhengu-Motsiri, ha affermato che il suo partito rispetta la decisione dei magistrati e che non è contrario alla presenza dell’MK al voto, ma pretende comunque che vengano rispettate «la giustizia e la legalità».
La svolta di dicembre
Zuma, classe 1942, alla guida del paese per due mandati fra il 2009 e il 2018, si è aggiunto alle file dell’MK lo scorso dicembre, dopo aver reso noto a sorpresa di non voler sostenere l’ANC alla successiva tornata elettorale. L’ex presidente è stato poi formalmente espulso dal partito il mese successivo. I retroscena dietro la decisione di Zuma sono numerosi.
Basti sapere che il suo voltafaccia è l’ultimo di una serie di tensioni con l’attuale leadership del suo ex partito, il presidente Cyril Ramaphosa, già suo vice presidente. Il capo di stato gli è succeduto dopo che questo era stato costretto alle dimissioni per il suo coinvolgimento in un gigantesco sistema di corruzione che per la sua capillarità si è guadagnato il nome di State Capture, traducibile come sequestro dello stato.
Ma il sostegno di Zuma all’MK porta con sé una storia ancora più lunga e articolata. uMkontho we Siwze, “lancia della nazione” in lingua xhosa, non è un nome nuovo nella storia sudafricana: si chiamava così il braccio paramilitare dell’ANC quando quest’ultimo era il principale promotore della lotta di liberazione contro l’apartheid. Il movimento è stato fondato dall’ex presidente Nelson Mandela e da altri compagni di lotta nel 1961, sulla scia di anni di violenze e abusi e soprattutto dello sdegno provocato dalla strage di Sharpeville. Con questo nome si ricorda l’uccisione di 69 manifestanti anti-apartheid, ammazzati dalla polizia durante una marcia il 21 marzo 1960.
Contesa sui simboli (o sul consenso?)
L’ANC ha fin da subito criticato la scelta di battezzare una nuova formazione politica con questo nome e ha più volte chiesto a chi guida il partito di cambiare dicitura. Si sono mostrati della stessa linea anche le maggiori associazioni di rappresentanza dei veterani dell’antico gruppo armato- nonostante alcuni ex membri del primo MK siano poi entrati nel nuovo partito – che hanno anche accusato Zuma e soci di manipolare la memoria del movimento per fini elettorali. L’ANC si è rivolto all’Alta corte di Durban per costringere l’MK a rinunciare a nome e logo della vecchia ala paramilitare sulla base di un’accusa di violazione di copyright.
L’inizio del processo è previsto per oggi 27 marzo. Secondo l’avvocato del partito di governo, Gavion Marriot, «nella mente dei sudafricani c’è un legame inscindibile fra l’ANC e l’uMkonto we Sizwe». Gli esponenti dell’MK sostengono invece che simbolo e logo non siano mai stati registrati formalmente e che la formazione che guida il paese abbia solo timore della minaccia rappresenta dal partito alle urne.
Paure che hanno trovato un primo riscontro nei dati. Una ricerca condotta a febbraio dal think-tank locale Social Research Foundation ha mostrato che l’MK potrebbe addirittura dimezzare il sostegno all’ANC nella provincia del KwaZulu-Natal, terra di origine di Zuma, tradizionale roccaforte dei suoi sostenitori nonché seconda provincia del paese per numero di elettori registrati.
Secondo questo sondaggio, basato su interviste a oltre 800 persone, la nuova formazione potrebbe addirittura finire per essere il secondo partito della regione, ottenendo il 24% dei voti contro il 25% del partito di governo, che in questa stessa area ha ottenuto il 54% dei consensi all’ultimo voto del 2019. Una dinamica in linea con quanto si riscontra in tutto il paese. Per la prima volta dal ritorno alla democrazia l’ANC rischia seriamente di scendere sotto il 50% dei consensi stando a diverse rilevazioni concordanti.
Strada sbarrata, almeno in teoria
Calcoli prematuri però, ma soprattutto inutili, per quanto riguarda il destino di Zuma. Almeno se si prende in considerazione quello che stabilisce l’ordinamento sudafricano. L’ex presidente, principale catalizzatore di consenso in un partito composto altrimenti da figure poco note, non potrebbe infatti neanche candidarsi. Principalmente per una ragione: l’ex leader infrange una delle condizioni per poter essere eletto all’Assemblea Nazionale in quanto ha subito una condanna a più di 12 mesi di prigione. L’ex capo di stato è stato infatti condannato a 15 mesi di carcere nel 2021 per non essersi presentato alle udienze della Commissione Zondo, l’ente da lui stesso istituito per far luce sul sistema di corruzione già citato, noto col nome di State Capture.
Per ora l’MK sembra ignorare queste disposizioni. Il nome di Zuma è il primo della lista dei candidati presentati dal partito a inizio mese. Il documento verrà approvata ufficialmente nei prossimi giorni, dopo che la Commissione elettorale avrà preso in esame le obiezioni che la cittadinanza ha il diritto di presentare fino a domani. La retorica degli esponenti del partito a riguardo è stata fino a oggi piuttosto aggressiva.
Il presidente ufficiale dell’MK Jabulani Khumalo, è stato lapidario: «Da oltre 20 anni i media stanno tentando di mettere Zuma in prigione, ma hanno fallito perché è un uomo semplice. Zuma sarà il presidente, che gli piaccia o no». E nei giorni scorsi esponenti del partito erano andati anche oltre, minacciando violenze nel caso in cui la Commissione elettorale avesse precluso la partecipazione al voto di maggio all’MK.
Il timore di violenze
Minacce che vengono prese molto sul serio in Sudafrica. Nel 2021, l’arresto di Zuma fece da detonatore a giorni di violenze e saccheggi in cui morirono circa 300 persone. Le rivolte, va notato, si verificarono in un contesto anche esasperato dalla crisi socio-economica scatenata dalla pandemia di Covid-19.
Non è quindi ancora possibile capire se Zuma potrà o meno partecipare al voto. È lecito chiedersi che tipo di informazioni riceveranno in merito i cittadini sudafricani. Stando a un report del centro locale di monitoraggio dei social media Centre for Analytics and Behavioural Change (CABC), nelle ultime settimane profili riconducibili all’MK hanno diffuso notizie false o disinformazione su vari argomenti, e in modo particolare con l’obiettivo di screditare la Commissione elettorale.