L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) e il Programma alimentare mondiale (Pam) avvertono che gli effetti combinati di conflitti (come quello in corso in Ucraina), crisi economica e scarsi raccolti in Sudan raddoppieranno il numero di persone affette da fame acuta, che arriveranno a oltre 18 milioni entro settembre.
Eddie Rowe, rappresentante del Pam nel paese avverte che «Ci sono già segnali preoccupanti che le risorse economiche e la disponibilità di cibo si stanno riducendo per la maggior parte della popolazione, cosa che sta spingendo sempre più persone nella povertà e nella fame».
Il rapporto della missione di valutazione della sicurezza alimentare e delle colture (Cfsam) della Fao e del Pam indica che la produzione nazionale di cereali della stagione agricola 2021/22 dovrebbe produrre 5,1 milioni di tonnellate. Una quantità che coprirà solo i bisogni di meno di due terzi della popolazione, lasciando molti dipendenti dall’assistenza alimentare umanitaria e dalle importazioni di cereali essenziali a prezzi fuori dalla portata della maggior parte delle persone.
Attualmente, i prezzi locali del grano superano i 550 dollari statunitensi per tonnellata, con un aumento del 180% rispetto allo stesso periodo del 2021.
Ma quel che è peggio è che la crisi colpisce quest’anno anche le stesse agenzie delle Nazioni Unite. Le scorte alimentari in Sudan si stanno esaurendo pericolosamente e senza nuovi finanziamenti inizieranno ad estinguersi entro maggio, avverte il Pam, costretto a fare i conti con un buco di 270 milioni di dollari di finanziamenti.
E all’orizzonte non si intravedono segnali confortanti. Il conflitto in Ucraina sta causando ulteriori picchi nei costi dei generi alimentari, e dei cereali in particolare, mentre sul piano politico continua lo stallo istituzionale con i militari, al potere dopo il golpe del 25 ottobre, che non hanno ancora nominato un primo ministro dopo la deposizione di Abdalla Hamdok e le sue successive dimissioni.
Ieri in un’intervista con Asharq Al-Awsat, testata di proprietà saudita, il capo del consiglio sovrano, generale Abdel Fattah al-Burhan, ha affermato che un premier sarà stato nominato solo dopo lo svolgimento di colloqui con le forze politiche.
Ma il processo di tentativo di dialogo guidato dalle Nazioni Unite e dall’Unione africana – che il leader golpista dice di considerare come la migliore occasione per trovare una via d’uscita dalla crisi, è un percorso lungo e tortuoso, visto che i comitati di resistenza, che guidano le proteste, continuano a rifiutare i colloqui con i militari, chiedendo che lascino la politica in mano ai civili.
Proseguono anche le proteste. Ieri, per il secondo giorno, i manifestanti hanno eretto barricate paralizzando gran parte della capitale Khartoum. E aumenta il numero di morti: 89 dall’inizio delle proteste, cinque mesi fa, per la maggior parte giovanissimi colpiti da proiettili e gas lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo da forze di sicurezza e polizia.
«Continueremo a erigere barricate, scioperare, protestare e ad attuare ogni forma di resistenza finché non abbatteremo i militari golpisti. Il nostro futuro è nella democrazia, non nella dittatura», ha detto a Reuters Mohammed Hassan, uno studente di 21 anni di Omdurman.