La notizia è presto uscita dagli obbiettivi dei media italiani, soppiantata dalla più vicina guerra russo-ucraìna. Intanto, in poco più di due mesi, il conflitto in Sudan ha generato una crisi umanitaria che appare difficilmente arginabile e, anzi, destinata ad aggravarsi di ora in ora.
Al momento ci sono circa 2 milioni e 200 mila profughi interni e rifugiati nei paesi vicini, e 24,7 milioni di persone – oltre la metà della popolazione sudanese – che hanno bisogno di aiuti salvavita: acqua, cibo e farmaci. Di questi, più di 13 milioni sono bambini.
Il Programma alimentare mondiale (PAM) prevede che fino a 2 milioni e mezzo di persone soffriranno la fame nei prossimi mesi.
Un’emergenza gigantesca per le agenzie umanitarie che faticano a far arrivare gli aiuti, impedite dagli scontri armati, dai blocchi stradali e dai saccheggi, che fino al 30 maggio avevano causato la perdita di 17mila tonnellate di aiuti alimentari, fa sapere il PAM.
Ma anche dalla scarsità di finanziamenti. Basti pensare che finora l’Onu ha raccolto promesse di contributi per quasi 1 miliardo e mezzo di dollari, circa la metà degli oltre 3 milioni necessari nell’immediato.
Intanto, la situazione appare in rapido deterioramento. La guerra tra esercito e paramilitari Forze di supporto rapido non sembra, insomma, destinata a concludersi a breve.
Anzi, si sta espandendo e intensificando, attirando gruppi armati e attori esterni. E si sta sempre più orientando lungo linee etnico-tribali.
Cosa che sta lacerando profondamente il tessuto sociale sudanese, e in alcune zone, come nella regione occidentale del Darfur, rischia di degenerare in una vera e propria campagna di pulizia etnica.
Tutto questo mentre il paese sprofonda in un crescente isolamento internazionale, con la giunta militare al potere che finora ha respinto ogni proposta di trattativa e di mediazione, allontanando bruscamente dal paese anche il capo della missione Onu.