Dal 10 maggio in Sudan è in corso la battaglia per la presa di El Fasher, città simbolo e storica capitale del Darfur, ora capoluogo del Nord Darfur e tra le città più popolose del paese, unica nella regione ancora controllata dall’esercito nazionale (SAF) e dalle milizie sue alleate.
Secondo stime recentissime in città si troverebbero circa 2,8 milioni di persone, compresi almeno 800mila sfollati da altre zone del Darfur affluiti nei mesi scorsi, man mano che il territorio passava nelle mani dei miliziani delle Forze di supporto rapido (RSF) che da diverse settimane assediano la capitale darfuriana.
El Fasher è stata a lungo considerata un porto sicuro, risparmiata dalle atrocità del conflitto che devastava il resto della regione grazie a un comitato locale di mediazione – di cui facevano parte leader comunitari, esponenti delle istituzioni, gruppi della società civile e rappresentanti di ordini professionali – che era riuscito ad evitare lo scontro diretto tra le due parti belligeranti nella zona urbana e in una vasta area circostante.
L’esperienza, che aveva fatto dire a diversi osservatori che andavano valorizzate le iniziative dal basso e che il successo ad El Fasher poteva costituire un modello da estendere a livello nazionale, non ha resistito alla nuova fase del conflitto.
Ora lo stato delle cose è tale che gli appelli per la protezione dei civili si susseguono quotidianamente.
L’ultimo, della Croce rossa internazionale, pubblicato su Linkedin il 4 giugno, dà un quadro drammatico della situazione: “L’intensificarsi dei combattimenti a El Fasher sta pesando con una pressione insopportabile su centinaia di migliaia di persone e sulle magre risorse della città. Le vite dei civili devono essere risparmiate e le organizzazioni umanitarie devono poterli raggiungere con rifornimenti vitali. Ospedali, mercati, risorse idriche e altri servizi essenziali per la cittadinanza non sono obiettivi (militari, ndr)”.
Dall’inizio della battaglia si contano a centinaia i morti e i feriti civili. Solo nell’ospedale gestito da Medici senza Frontiere, l’unico rimasto pienamente operativo in città pur essendo stato bombardato tre volte in una settimana, dal 10 maggio sono stati ricoverati 1.280 feriti, 203 dei quali non sono sopravvissuti.
In città stanno finendo i medicinali. Nei giorni scorsi è stato effettuato un tentativo di rifornimento paracadutato, dal momento che neppure i convogli umanitari sono autorizzati a superare il fronte dell’assedio. Il mercato principale è chiuso da giorni e il cibo scarseggia ormai in modo drammatico.
Allarme genocidio
Le decine di migliaia di persone che cercano di abbandonare la città assediata e devastata dai combattimenti sono esposte a rapine, stupri, violenze e abusi di ogni genere, comprese esecuzioni su base etnica.
L’allarme per una situazione che potrebbe diventare simile a quella del genocidio del 1994 in Rwanda è stato lanciato da Alice Wairimu Nderitu, speciale consigliera del segretario generale dell’ONU per la prevenzione dei genocidi.
In un suo briefing al Consiglio di Sicurezza del 21 maggio, osserva che i genocidi non vengono perpetrati dall’oggi al domani e che in Sudan la situazione «mostra tutti i segni di un rischio di genocidio, con forti sospetti che questo crimine sia già stato commesso».
Prosegue specificando che «in Darfur, a El Fasher, i civili sono attaccati per il colore della loro pelle, per la loro appartenenza etnica, per chi sono». La dinamica sarebbe dunque quella già vista nei primi anni di questo secolo durante la guerra civile in Darfur: le milizie arabe e i gruppi etnici arabizzati contro i gruppi autoctoni “africani”.
I masalit a El Geneina, nel Darfur Occidentale, sono stati i primi ad essere attaccati all’inizio del conflitto. Ora tocca ai fur e agli zagawa, stanziati sul resto del territorio, anche ad El Fasher e dintorni.
Molte persone in fuga dalla città si stanno dirigendo verso il Jebel Marra, la zona controllata dal Sudan Liberation Army (SLA, Esercito di Liberazione del Sudan), ala Abdel Waid al Nur, uno dei movimenti armati che non ha firmato la pace di Juba ed è rimasto neutrale tra i due belligeranti.
Secondo Adam Rijal, coordinatore dei campi profughi della regione, tra il 24 maggio e il 3 giugno, 10 giorni solamente, sarebbero arrivati nel Jebel Marra più di 27mila sfollati. La loro fuga finisce in un’enclave praticamente isolata da anni, arrivano in condizioni critiche e si trovano ad affrontare scarsità di cibo e di acqua, mancanza di ripari e medicinali. È una situazione non facilmente migliorabile a causa delle condizioni ambientali e dell’andamento del conflitto.
Il controllo di Mellit e dei traffici con la Libia
La battaglia per El Fasher è parte di una più vasta offensiva delle RSF per il controllo del Nord Darfur, iniziata attorno alla metà di aprile. I miliziani hanno dapprima conquistato numerose località dell’area con l’obiettivo di chiudere le vie di approvvigionamento alle SAF e ai suoi alleati asserragliati in città, ma anche alle loro guarnigioni, e alla popolazione in genere, nella regione e in altre zone del paese.
Particolarmente importante la presa di Mellit, a una sessantina di chilometri a nord di El Fasher, da cui passano i traffici commerciali via terra con la Libia, attraverso il collegamento con l’oasi di Kufra, e il resto del Sudan, attraverso l’altro snodo di al Dabbah, nello stato del Nord.
Questa via era rimasta l’unica aperta per l’esercito governativo dopo che le RSF avevano preso il controllo del resto della regione. Negli ultimi mesi, Mellit era diventata l’hub commerciale principale dell’intero Darfur e una via di rifornimento significativo per il resto del paese.
Un’analisi pubblicata dal Sudan Transparency and Policy Trackers chiarisce l’importanza politica ed economica degli scambi tra il Darfur e la Libia – e potenzialmente con il resto dell’Africa saheliana e mediterranea – resi possibili dal collegamento tra Mellit e Kufra.
Risulta evidente dal documento come il controllo della cittadina e del suo mercato sia di grande importanza economica per le RSF e di enorme rilevanza strategica sia per l’andamento della battaglia di El Fasher, sia per il conflitto in generale nell’intero paese. In definitiva, ne potrebbe dipendere perfino il futuro assetto del paese.