Sudan: condanna a morte per lapidazione, pressione contro la sentenza
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Maryam Alsyed Tiyrab giudicata in base al Codice penale islamico
Sudan: condanna a morte per lapidazione, pressione contro la sentenza
20 Ottobre 2022
Articolo di Redazione
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Condannata a morte per lapidazione perché accusata di adulterio, anche se di fatto separata dal marito e tornata a vivere con la propria famiglia. Ѐ la pena inflitta lo scorso 26 giugno Maryam Alsyed Tiyrab, 20 anni, da un tribunale di Kosti, nello stato meridionale sudanese del Nilo Bianco.

Una sentenza che deve essere approvata dalla Corte suprema che potrebbe revocarla o mitigare la pena, come già accaduto in passato, ma sempre in seguito a un’intensa pressione internazionale.

Pressione che le organizzazioni per i diritti umani e delle donne stanno attuando con una campagna internazionale di lobbing sulle autorità sudanesi, lanciata dalla Federazione internazionale per i diritti umani (Ifhr) e dai suoi partner che parlano di “una punizione crudele, disumana e degradante”.

Le attiviste e gli attivisti denunciano la crescente criminalizzazione delle donne a partire dal 25 ottobre 2021, quando i militari, ripresisi il potere, hanno avviato un processo di restaurazione del regime islamista del presidente Omar El-Bashir, deposto nell’aprile 2019 in seguito alle sollevazioni popolari. Che avevano visto protagoniste proprio le donne sudanesi.

Nel breve periodo di transizione seguito al rovesciamento del trentennale regime, però, il governo misto civile e militare, non era riuscito a superare il Codice penale islamico, ispirato alla shari’a, tutt’oggi applicato nel paese. E che prevede la pena capitale per i “crimini di hudud”, tra cui apostasia, furto, rapina, adulterio, calunnia e consumo di alcolici.

Un ritorno a un passato che non è mai veramente passato. «Le carceri femminili si stanno riempiendo da diversi mesi», afferma un avvocato all’emittente Rfi, e i segnali negativi si stanno moltiplicando.

Uno dei segnali è stato l’annuncio, ad agosto, della creazione di unità di “polizia di comunità”. Con un mandato vago che riporta ai tempi bui del regime islamista. Quando per 30 anni le leggi sull’ordine pubblico hanno criminalizzato gli abiti e le pratiche ritenute “indecenti” e hanno portato molte donne a essere detenute, frustate e umiliate.

 

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