Il conflitto in Sudan, entrato il 27 maggio scorso nella sua settima settimana, rischia un’escalation.
Intanto Arabia Saudita e Stati Uniti, che monitorano la tregua di 7 giorni in scadenza questa sera, ne chiedono un’estensione.
Washington e Riyadh denunciano che “Ci sono state violazioni da entrambe le parti che hanno ostacolato in modo significativo la fornitura di assistenza umanitaria e il ripristino dei servizi essenziali”.
Il cessate il fuoco, concordato il 21 maggio a Jeddah dall’esercito (Saf) e dai paramilitari Forze di sostegno rapido (Rsf), non è stato di fatto rispettato e i combattimenti sono continuati, seppur in modo meno pesante, sulla capitale Khartoum e le città gemelle Omdurman e Bahri.
La violenza è invece divampata in diverse parti della regione occidentale del Darfur.
Combattimenti mortali si sono registrati a El Fasher, capitale del Nord Darfur, a El Genenina, vicino al confine con il Ciad, dove i morti sono più di 500. Situazione non dissimile nella capitale del Darfur Meridionale Nyala, dove le devastazioni compiute dalle Rsf sono talmente pesanti e diffuse da essere visibili dai satelliti.
Nella capitale del Darfur Occidentale saccheggi diffusi e distruzione di infrastrutture vitali hanno lasciato la popolazione con poco o nessun accesso a cibo, acqua pulita, medicine e di fatto in un completo isolamento. Le agenzie umanitarie parlando di un’imminente “catastrofe umanitaria”. E sia a Khartoum che a El Geneina aumentano i casi di violenze sessuali.
Il governatore del Darfur, Minni Minawi, ex capo di un gruppo armato che ha combattuto contro le milizie janjaweed nel conflitto del Darfur, iniziato nel 2003, ha chiesto in un tweet ai cittadini di prendere le armi per difendere le loro proprietà.
Cosa che peraltro molti stanno già facendo, anche perché risulta meno difficile e costoso acquistare un’arma che del cibo. I prezzi dei generi di prima necessità sono infatti quasi raddoppiati nelle zone di conflitto. Coloro che non sono in grado di fuggire hanno scavato fossati intorno ai loro quartieri e allestito barricate.
Insomma, i civili sono sempre più sotto attacco, sottoposti a violenze, razzie e usati come scudi umani.
Tensioni crescenti tra Saf e Onu
Sul piano militare la situazione sembra invece indicare la preparazione di un’ulteriore escalation armata.
Il 26 maggio il ministro della difesa, generale Yasin Ibrahim, ha richiamato i riservisti, imponendo a tutti gli ufficiali, sottufficiali e i militari idonei, di età non superiore a 65 anni, in grado di portare e usare armi, di presentarsi alla base militare più vicina, a partire da oggi.
Intanto il capo dell’esercito, generale Abdel Fattah al-Burhan, ha licenziato il ministro degli esteri Ali al-Sadiq accusandolo di aver mancato all’adempimento dei suoi doveri. A gestire il ministero al-Burhan ha nominato Mohamed Osman al-Hadi, ex ambasciatore e direttore dell’ufficio esteri, e il leader islamista Ali Karti.
La mossa palesa il crescente potere che sta tornando ad avere all’interno delle forze armate la frangia islamista legata al movimento dei Fratelli Musulmani e al partito del deposto leader Omar El-Bashir.
Da settimane infatti, i sostenitori dell’ex regime stanno portando avanti una campagna contro Sadiq – secondo diverse fonti in conflitto con Ali Karti -, criticandolo per il suo scarso rendimento durante la guerra.
Altra mossa di al-Burhan è stata la formale richiesta inviata il 26 maggio al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, di rimuovere e “sostituire l’inviato Volker Perthes dal suo incarico” alla guida della missione di assistenza alla transizione UNITAMS. Una lettera che Guterres ha definito “scioccante”.
Anche in questo caso la richiesta arriva dopo settimane di pressione sull’Onu e sulla scia di ripetute accuse mosse dai vertici militari contro Perthes, che ha subìto di recente anche minacce di morte. L’ultimo attacco verbale è stato del generale Yasir al-Atta, membro del Consiglio Sovrano, che ha accusato il diplomatico di essersi allineato con una specifica fazione politica e di essere influenzato dalla loro visione.
Fonti interne al ministero degli esteri hanno detto ad Al Jazeera che Perthes, che attualmente è a New York, non sarà autorizzato a rientrare in Sudan. (MT)