Le Nazioni Unite e l’Unione Africana hanno elogiato l’accordo di massima firmato il 5 novembre in Sudan tra i militari al potere e i leader civili dopo mesi di negoziati, ritenendolo un grande passo avanti verso l’introduzione di un processo democratico e l’elaborazione di una nuova Costituzione.
Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, ha dichiarato che l’accordo «apre la strada per il ritorno ad una transizione politica guidata dai civili» e ha invitato tutti i sudanesi «a lavorare senza ritardi nella nuova fase del processo di transizione affrontando le maggiori sfide, al fine di raggiungere un’intesa politica duratura ed inclusiva».
Ha aggiunto inoltre che le Nazioni Unite, per mezzo del meccanismo trilaterale che comprende la missione Onu in Sudan, l’Unione Africana e l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), si impegna affinché il processo politico proceda speditamente.
Viene posta fine, in tal modo, presumibilmente, al prolungato e spesso violento blocco politico-istituzionale instauratosi dopo il colpo di stato militare del 25 ottobre 2021.
Questo primo accordo potrebbe dunque aprire una nuova fase per il Sudan, pur essendo già stato contestato in manifestazioni da parte di vari gruppi che tuttora si oppongono ai negoziati con i militari, come pure da parte delle fazioni islamiste legate al vecchio regime di Omar El-Bashir, deposto nell’aprile 2019.
Migliaia di persone, infatti, si sono riversate nelle strade di Khartoum per protestare, affrontando le forze di sicurezza che hanno risposto con lacrimogeni e granate stordenti, in apparenza senza che, almeno questa volta, si siano registrate vittime.
L’accordo prevede che i militari siano rappresentati in un eventuale governo civile soltanto all’interno di un Consiglio per la sicurezza e la difesa, diretto da un primo ministro. D’altro canto, nessuna data è stata fissata per l’accordo finale o la nomina di un premier.
Accantonati per ora, in vista di ulteriori colloqui, temi delicati tra cui la riforma del settore della sicurezza, la pratica della giustizia e delle risorse economiche, ancora nelle mani delle élite militari e delle milizie alleate.
Dopo la firma dell’accordo, Abdel Fattah al-Burhan, capo della giunta golpista, ha dichiarato che sarà compito dei civili guidare la politica interna ed estera del governo.
I firmatari dell’accordo lo hanno applaudito quando ha dichiarato, secondo lo slogan usato nei lunghi mesi in cui chi protestava chiedeva la fuoriuscita dell’esercito dalla politica, che: «i militari appartengono alle caserme e i partiti vanno alle elezioni».
Il colpo di stato militare dello scorso anno aveva posto fine alla condivisione del potere tra i militari e la coalizione delle Forze per la libertà e il cambiamento (Ffc). Da allora il Sudan è privo di un primo ministro, di un governo e di un parlamento.